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Mucha, alfiere
dell'art nouveau
Daniele Liberanome
Impossibile oggi parlare di Art Nouveau senza le opere di Alphonse Mucha (1860-1939), eppure subito dopo la sua morte l’artista era caduto in un oblio che sembrava definitivo. Del resto, gli ideali per i quali sempre combatté erano più ottocenteschi e romantici che novecenteschi e universalisti. Si sentiva innanzitutto un ceco (era nato in Moravia, a IvanČice, e morirà a Praga), un cattolico, un tradizionalista e per questo, anche se divenne famoso per i manifesti della star di teatro Sarah Bernhardt, si dedicò per almeno un ventennio all’ideazione e realizzazione del ciclo Epopea slava. Sono venti dipinti monumentali ora costuditi alla Mucha Foundation di Praga e dedicati ciascuno a una tappa fondamentale della storia dell’Est Europa.
Per assurdo, a finanziare l’iniziativa fu un americano purosangue, il mecenate e diplomatico Charles Crane, il quale acconsentì che l’intera serie venisse regalata allo Stato cecoslovacco, ma pretese che rimanesse nello studio di Mucha fino al completamento. Accadde così che l’artista, pur avendo terminato già nel 1913 la tela Abolizione della schiavitù in Russia, 1861, l’avesse ancora con sé nel 1920 e allora la utilizzasse per crearne una versione ridotta che inviò al suo finanziatore.
Se il ciclo completo è gigantesco (6 x 8 m), la versione ridotta dell’Abolizione della schiavitù in Russia, venduta da Christie’s, è comunque di buona dimensione (1 x 1 m). Il fatto che fosse sempre rimasta nella collezione della famiglia Crane e che non esistessero altre simili versioni ridotte di quadri della stessa serie fece sì che, quando venne presentata in asta il 24 aprile 2006 a New York, la stima fosse addirittura 1,2 -2,1 milioni di euro, cifra di gran lunga inconsueta per Mucha. Fu però una valutazione azzeccata, visto che l’acquirente finale pagò la tela poco meno del valore più basso della forchetta.
