Il gusto dell'arte Snobbato per secoli dall’alta società Ludovica Sebregondi ALLA RICERCA DI PREPARAZIONI ALIMENTARI E PRODOTTI CHE TROVANO NELL’ARTE PUNTUALI RIFERIMENTI, AL DI LÀ DI EPOCHE, LUOGHI E TRADIZIONI: IL PEPERONCINO Potenza del peperoncino: nel 1983, una famosa band rock americana optò per il nome Red Hot Chili Peppers dopo aver assaporato del “Capsicum” di una varietà piccantissima. La scelta risultò unica, memorabile e perfettamente in sintonia con il loro stile musicale eclettico e “caldo”. Ugualmente piccante è il titolo del loro album più famoso, Californication, che unisce “California” e “fornicazione”, termine usato per descrivere la commercializzazione e la distorsione della cultura californiana. Ma non è da escludere, poiché spesso il peperoncino è associato a idee di passione e calore, che sia presente anche un riferimento al presunto potere afrodisiaco della pianta. Originario del Centro e Sud America e ampiamente utilizzato nelle civiltà precolombiane anche a scopo medicinale, il peperoncino è tra i tanti contributi gastronomici del Nuovo mondo che si sono poi perfettamente acclimatati in Europa, tanto che spesso si dimentica della sua mancanza prima degli ultimi anni del Quattrocento. Cristoforo Colombo lo descrive nel 1493 parlando dell’isola di Espaniola (oggi Haiti): «Vi era in abbondanza pure axi che è il loro pepe, di qualità che molto sopravanza quella del pepe e non v’è chi mangi senza di esso che reputano assai curativo». Il botanico senese Pier Andrea Mattioli nel 1568 lo illustra, aggiornando – con i nuovi apporti provenienti d’Oltreoceano – l’antico testo De materia medica di Dioscoride Pedanio. Se in Spagna il peperoncino è chiamato “pimentón” o “pimiento del piquillo” e in Francia “piment doux”, la parola ungherese “paprika”, che si riferisce alla polvere, è utilizzata in tutti i paesi che facevano parte dell’impero austroungarico. Maxwell Ashby Armfield, Peperoncini (1941-1971), Oxford, Ashmolean Museum. Da subito la cucina popolare si è appropriata di questo insaporitore a basso costo, che cresce benissimo in Europa, può essere consumato fresco, essiccato, macinato o integrato nel grasso e non presenta problemi di conservazione. La cucina dell’alta società per secoli non ha accolto questa spezia tra i propri ingredienti: non ne parlano, infatti, i grandi gastronomi Jean Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto (1825) e Pellegrino Artusi nella Scienza in cucina (1891). Si dovrà aspettare Filippo Tommaso Marinetti per veder incluso il peperoncino nel famoso e rivoluzionario “menu futurista” (1931), ma più come “boutade” che come vera opzione culinaria. Forse la scarsa attenzione che ai peperoncini è stata data dalla gastronomia ha contribuito anche alla limitata presenza delle loro raffigurazioni in ambito artistico. Tuttavia, nel 1933 Aristarch Vasil’evič Lentulov (Distretto di Penza 1882 - Mosca 1943) non si lascia sfuggire l’opportunità di raffigurare due splendide collane di peperoncini di un rosso brillante, facendole scendere da un tavolaccio su cui sono appoggiati anche cavoli e altre verdure. Su una botticella è collocato un orciolo in terracotta e accanto un cesto davanti a un brullo paesaggio collinare, forse di Crimea, in una natura morta costruita, poco realistica. Per Lentulov, uno dei principali artefici dell’avanguardia russa, pittore, scenografo e costumista, sostenitore del gruppo Fante di quadri, furono fondamentali sia i soggiorni all’estero che la conoscenza delle opere delle collezioni di Sergej Ščukin e Ivan Morozov, che includevano lavori di Cézanne, Van Gogh, Derain, Rousseau il Doganiere, Toulouse-Lautrec, Picasso. Tuttavia, dopo la Rivoluzione del 1917 e il diffondersi del realismo socialista, Lentulov abbandonò l’intenso cromatismo degli esordi, i vividi contrasti e le forme geometriche, pur mantenendo il ricordo degli artisti che l’avevano ispirato in gioventù. Già solo le date estreme, che l’Ashmolean Museum assegna ai Peperoncini di Maxwell Ashby Armfield (1941-1971), indicano che si tratta di un’opera poco nota ma accattivante, con quei tre cornetti rossi adagiati, insieme a una foglia d’acero, su una base di paglia intrecciata. Armfield, nato a Ringwood, Hampshire, nel 1881 e morto a Warminster nel 1972, fu un personaggio eclettico, pittore, illustratore e scrittore, artista e teorico che non ebbe però fortuna. Il dipinto è realizzato a tempera su una tavoletta, e fu proprio a questa tecnica del passato che dedicò un volume nel 1946. I peperoncini rossi di Armfield rendono l’idea della piccantezza, che può cambiare in varietà e gradi così differenti che Wilbur Scoville ha ideato nel 1912 la scala che da lui ha tratto il nome e che ne misura i livelli. Il peperoncino è stato utilizzato non solo come insaporitore, medicina, afrodisiaco, ma anche come strumento di magia, come ricorda il cornetto napoletano portafortuna che ne condivide forma e colore. Ma è stato impiegato anche come strumento di “tortura”. Non a caso l’effetto dello spray al peperoncino può risultare devastante ma, per chi è aggredito, anche essere salvifico: un enorme potere racchiuso in un piccolo cornetto. Aristarch Vasil’evič Lentulov, Natura morta con peperoncini in un paesaggio (1933), Mosca, Galleria statale Tret’jakov.