Perché andare in cerca, nel buio di una sala cinematografica, oppure in dvd o su una piattaforma, di Invelle (Nessun luogo, in dialetto marchigiano), primo lungometraggio dell’animatore marchigiano Simone Massi? In pratica equivale a dire le ragioni per cui amare il suo cinema appartato e a volte scontroso (come il suo sito a cui si rinvia chi fosse curioso). Per darne conto in modo evidente e immediato le illustriamo punto per punto.
1. I suoi corti sono dei poemi visivi senza pari, almeno nel cinema animato italiano.
2. Per dare una vaga idea del suo lavoro si potrebbe immaginare una grande tela grezza di Burri che si muove incessantemente come un mare per dare vita a figure: segni fatti a loro volta di segni. Questo il fotogramma tipico di Invelle.
3. La grana dell’immagine nel suo primo lungometraggio si fonde magistralmente e sistematicamente con la grana della voce dall’inizio alla fine. Marco Baliani, Ascanio Celestini, Mimmo Cuticchio, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Giovanna Marini, Toni Servillo, Filippo Timi hanno prestato magistralmente le loro voci al racconto.
4. La deflagrante autenticità dei suoni del dialetto, delle voci è ancora più potenziata dalla verità del segno inciso, più realistico di un’immagine cinematografica, in cui un viso un attimo dopo è una collina, un sopracciglio un sentiero…
5. Le parole di Pavese dalla Casa in collina sull’inverno partigiano, i riferimenti ideali al Mondo dei vinti di Nuto Revelli o a Fontamara di Ignazio Silone, citati in un’intervista (e aggiungeremmo che il nome della protagonista Zelinda pare venire dritto dalla provincia contadina del Silvio D’Arzo di Casa d’altri).
6. È un “epos” sulla fine della cultura contadina in Italia, Massi realizza un Novecento animato (chiaro riferimento al film di Bertolucci del 1976): dall’epidemia di Spagnola nel 1918 da cui prende le mosse, disegnando la vita di tre generazioni, attraversando il fascismo, il tradimento degli ideali nei primi decenni del secondo dopoguerra, la centralità della fabbrica, la rinascita del neofascismo, piazza della Loggia, fino al rapimento di Aldo Moro, 1978. Mai nessuno aveva osato tanto in un film animato in Italia.
7. L’innesto del colore sul bianco e nero, tipico di Massi, qui più convinto e convincente del solito, è una continua fonte di emozione.
8. I dialoghi sono volutamente pressoché assenti, il racconto è tutto. Anche questo rende il film epico e popolare al tempo stesso.
9. Ci si può accostare al film, il cui tratto è qui più deciso dei cortometraggi, come a un’incisione che si svolge nel tempo anziché nello spazio.
10. Hanno lavorato al film due tra le animatrici più interessanti del panorama italiano: Magda Guidi e Julia Gromskaya.
