Verso nuove narrazioni

INTERVISTA AD ADRIANO PEDROSA, CURATORE DELLA 60. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE DELLA BIENNALE DI VENEZIA

Ludovico Pratesi

Il brasiliano Adriano Pedrosa, direttore del MASP, il museo d’arte di San Paolo del Brasile, è il curatore della 60. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, con Stranieri ovunque - Foreigners Everywhere, un progetto innovativo, tutto dedicato ad artisti estranei al mondo dell’arte ufficiale e allo star system contemporaneo, provenienti da Africa, Asia, America Latina, Medio Oriente. Pedrosa non è un nome nuovo a chi frequenta le biennali internazionali: è stato curatore associato della Biennale di San Paolo nel 2006 e co-curatore della Biennale di Istanbul nel 2011.


Cominciamo dal titolo della mostra internazionale: Stranieri ovunque - Foreigners Everywhere. Cosa significa?

L’espressione deriva da una scritta al neon del collettivo artistico Claire Fontaine, invitato alla mostra. Possiamo leggerla sia come «ovunque tu vada ci sono stranieri e immigrati» sia come «ovunque tu vada sei sempre uno straniero». Possiede una connotazione poetica e politica, ma anche psicanalitica; per questa molteplicità di significati ho pensato che fosse un buon punto di partenza.


Quindi non riguarda gli stranieri in senso stretto…

Non si limita agli stranieri, agli immigrati, ai rifugiati o agli espatriati. Ho voluto allargare la mostra alle soggettività queer, indigene e outsider in genere.


Lei è il primo curatore proveniente dall’emisfero sud del mondo. Questo dato ha influito nella concezione della mostra?

Gli unici paesi non occidentali ad avere un padiglione ai Giardini sono Egitto, Israele, Venezuela, Brasile e Uruguay, e questo significa che ci sono ancora residui di stampo coloniale. La presidenza di Roberto Cicutto, con la nomina dell’africana Lesley Lokko alla scorsa Biennale di architettura insieme alla mia nomina ha indicato una precisa volontà di apertura verso nuove narrazioni, non più eurocentriche e occidentali.


Quale sarà l’impianto della mostra?

Gli artisti invitati in totale sono trecentotrentadue e la mostra sarà divisa in due grandi nuclei, storico e contemporaneo. Nel primo, saranno riunite duecento opere, nel secondo circa ottocento, delle quali alcune monumentali, come l’intervento del collettivo indigeno MAHKU che dipingerà l’intera facciata del Padiglione centrale, mentre il collettivo neozelandese Mataaho occuperà la prima sala.


Quasi l’ottanta per cento degli artisti invitati non ha mai esposto prima alla Biennale. È un elemento identitario della sua rassegna?

Ho viaggiato in alcuni paesi in cui non ero mai stato, come il Guatemala, la Repubblica Dominicana e l’Angola, e sono tornato in quasi tutti i paesi dell’America Latina dove conoscevo il contesto: dal Cile al Messico, dall’Argentina alla Colombia. Ho visitato Kenya, Zimbabwe, Sud Africa, Singapore e Indonesia, dove tanti colleghi mi hanno aiutato nel mio lavoro. Ho dovuto chiudere la lista degli artisti in undici mesi e non ho potuto fare di più.


Quanti sono gli italiani invitati?

Sono quarantatre, tra i quali molti sono artisti della diaspora, che non hanno vissuto e non vivono nel vostro paese, come Gino Severini e Filippo De Pisis che abitavano a Parigi. Tra i contemporanei cito Giulia Andreani che abita a Parigi, Alessandra Ferrini, residente a Londra e Bertina Lopez, nata in Mozambico e vissuta a Roma.


«OVUNQUE TU VADA CI SONO STRANIERI E IMMIGRATI, OVUNQUE TU VADA SEI SEMPRE UNO STRANIERO» ADRIANO PEDROSA