Studi e riscoperte. 1
OPERE SPECCHIANTI

I’LL BE YOUR
MIRROR

INSTABILITÀ, SMARRIMENTO, SEDUZIONE È CIÒ CHE SI PUÒ PROVARE DI FRONTE AD AMBIENTAZIONI CREATE CON GLI SPECCHI. UN’ESPERIENZA TOTALIZZANTE ATTRAVERSO LA QUALE L’OSSERVATORE VIENE CATTURATO DALLA SUGGESTIONE OTTICA DI UNO SPAZIO “DILATATO”, DOVE SI INTRECCIANO ILLUSIONE E REALTÀ, AMBIGUITÀ E FRAMMENTAZIONE.

Enrico De Pascale

Il travolgente successo della mostra Infinito presente di Yayoi Kusama (Bergamo, Palazzo della ragione, fino al 21 aprile) ha sicuramente molteplici spiegazioni, non ultima la fama planetaria dell’artist-star giapponese, intimamente connessa con la sua travagliata biografia.

L’opera proposta a Bergamo – la spettacolare Fireflies on the Water, una delle celebri Infinity Mirror – fa leva sul principio della “mise en abyme” (messa in abisso) generata dagli specchi che moltiplicano all’infinito sia il visitatore solitario (nell’opera si entra uno alla volta) che le miriadi di luci di cui l’ambiente è costellato. Lo spaesamento è garantito così come la meraviglia per un’esperienza di tipo immersivo che è in totale sintonia con le più recenti e apprezzate proposte nel settore delle mostre d’arte.

D’altra parte la vertigine di uno spazio dilatato all’infinito generato da specchi che si fronteggiano è esperienza praticata già nei secoli passati, come dimostrano i numerosi studi di catottrica (parte dell’ottica che studia la riflessione della luce e quindi il comportamento degli specchi), tra cui la celebre Magia catottrica o della prodigiosa rappresentazione delle cose con gli specchi di Erone di Alessandria (II secolo a.C.) e uno schizzo di Leonardo da Vinci (Institut de France, Parigi) che raffigura una stanza a pianta ottagonale con alte pareti di materiale specchiante. Nel 1646, a Roma, l’erudito Athanasius Kircher, titolare dell’omonimo museo allestito nel Collegio romano dei gesuiti, pubblica il suo Ars magna lucis et umbrae comprendente svariati modelli di macchine catottriche tra cui un “cabinet” lungo 6,50 e alto 3,50 metri (Theatrum catoptricum polydicticum) ubicato in un palazzo principesco dell’Urbe, interamente foderato di specchi: pareti, soffitto, pavimento, battenti delle finestre. L’effetto sul visitatore era di assoluta meraviglia: «Ti vedrai moltiplicato quasi all’infinito; ti riconoscerai ora che passeggi in aria, ora immobile in luoghi profondissimi. Ti vedrai sospeso in aria con i piedi poggiati al soffitto e con la testa rivolta all’ingiù. Ti vedrai volare in aria e senza piedi poggiare sul pavimento». Un’esperienza di tipo immersivo che in qualche modo poneva le premesse per lo spettacolare successo delle Galeries des Glaces, le gallerie degli specchi, diffusesi nelle residenze aristocratiche di tutta Europa – da Versailles ad Amalienburg, da Venezia a Mantova, da Capodimonte a Schönbrunn – a partire dal XVIII secolo.


Daniel Buren, La cabina esplosa con quattro stanze (2005), Santomato (Pistoia), Fattoria di Celle.