Grandi mostre. 6
FRANS HALS AD AMSTERDAM
E HAARLEM

Ventisette
sfumature di nero

UNA MOSTRA E UN MUSEO PROPONGONO LA PITTURA E LA PERSONALITÀ PROROMPENTI DI UN GRANDE ARTISTA DEL SEICENTO: FRANS HALS, CON REMBRANDT E VERMEER AI VERTICI DELL’ARTE OLANDESE DEL SUO TEMPO.

CLAUDIO PESCIO

Lo dice una fonte autorevole. Quelle donne e quegli uomini, in quei ritratti, sono quasi tutti rigorosamente in nero, ma sarebbe meglio dire in molte varianti di nero: Vincent van Gogh ne ha contate ventisette. Ci fidiamo del suo occhio infallibile e gli affidiamo il nostro titolo.

Nero e bianco. Il nero dei vestiti e il bianco abbagliante delle gorgiere e dei polsini. La mostra di Amsterdam inizia così, come questo articolo, con alcuni ingrandimenti che evidenziano fin da subito l’intento dei curatori, mostrare come dietro il caos apparente si celi una formidabile forza creativa, consapevole dei propri mezzi e obiettivi.

Frans Hals (1580-1666) ha avuto un’influenza enorme su un’intera generazione di pittori, quella che nella seconda metà dell’Ottocento cercava vie d’uscita dalle sontuose ma asfittiche gabbie dell’accademismo corrente. Artisti come Courbet, Manet, Sargent, Cassatt, Whistler, Van Gogh, Liebermann ne fecero un modello da studiare e copiare, la sua tecnica pittorica appariva uno strumento indispensabile per aprire le porte alla rappresentazione della “vita moderna”, nella sua volatile immediatezza.

Oggi sembra impossibile, ma è accaduto: dopo la sua morte Frans Hals fu gradualmente dimenticato. Nel tempo in cui visse, nella Haarlem del secolo XVII, era uno degli artisti più ricercati per la sua abilità di ritrattista. Poi – complici biografi che lo descrivevano come un ubriacone, pessimo esempio per i suoi molti figli – il suo stile pittorico “ruvido”, la pennellata rapida e sintetica – più un suggerimento che una descrizione – furono trasformati in prove a suo carico: scarsa cura, impurità del tratto, sporcizia morale.

Anche in questo caso dobbiamo ringraziare quella strana figura di giornalista, polemista, attivista repubblicano, conoscitore e viaggiatore di Théophile Thoré-Bürger. Negli anni Sessanta del XIX secolo visitò il museo di Haarlem e restò sbalordito dalla pittura di Hals. Non pago di aver appena “scoperto” Jan Vermeer e Pieter de Hooch, rivelò al mondo un’altra buona novella: quel magnifico ritrattista fiammingo trapiantato in Olanda meritava un posto privilegiato fra i grandi artisti del Seicento europeo; il migliore, secondo lui, per l’autenticità nella resa della figura umana al naturale, presenze che sembrano uscire dalla cornice, vive, quasi inquietanti. In poco tempo, Haarlem divenne tappa obbligata di un nuovo Grand Tour.


Dettaglio del Cavaliere sorridente (1624), Londra, Wallace Collection.