CATALOGHI E LIBRI APRILE 2024 a cura di Gloria Fossi IL MALE IN BOCCA LA LUNGA STORIA DI UN’ICONOGRAFIA DIMENTICATA Verso il 2014 Marco Bussagli fece una vera e propria scoperta, da autorevole storico dell’arte e iconologo qual è. A settembre di quell’anno l’editore Medusa dette alle stampe il suo I denti di Michelangelo. Un caso iconografico. Ne parlammo in questa rubrica: analizzando alcune opere di Michelangelo, lo studioso romano aveva notato una patologia nota ai medici, ma mai rilevata dagli storici dell’arte: il «mesiodens», ovvero il quinto incisivo, un trentatreesimo dente, in soprannumero, al centro dell’arcata dentaria superiore o inferiore o in entrambe, che è un’anomalia rispetto alla chiostra canonica dell’essere umano. Non si trattava di raffigurare semplicemente un’anomalia ma, come spiegò Bussagli, di attribuirle un significato simbolico: violenza, lussuria, bestialità caratterizzano alcune figure michelangiolesche, come la Sibilla delfica, facenti parte del mondo prima della rivelazione di Cristo. Da quel libro di centosettantacinque pagine l’autore è partito per una disamina assai più corposa e articolata, che analizza l’iconografia del dente “bastardo” dalla Grecia arcaica al Novecento. È il “male” in bocca, non solo fisico e non solo di Michelangelo, che con sottili ragionamenti e documenti illustra questo studio innovativo. Marco Bussagli Medusa, Milano 2023 380 pp., ill.colore e b.n. € 34 LA CHIESA DI SAN FRANCESCO A PESCIA Alla Valdinievole, incuneata fra i confini delle province di Firenze e Lucca, è dedicata la collana “Valdinievole Sacra” diretta da Stefano Salucci, della quale fa parte la recente pubblicazione, curata da Paolo Vitali, sulla chiesa di San Francesco a Pescia (Pistoia). È quasi superfluo sottolineare che il viaggio nella “provincia”, in cerca di edifici sacri, dona non poche sorprese e suggestioni, oltre a fornire itinerari spirituali per i fedeli. Il libriccino è arricchito, non a caso, da un “abstract” in inglese, utile ai visitatori stranieri, che spesso vanno a caccia nel nostro paese, al pari e forse più degli italiani, di luoghi d’arte meno noti. L’importanza di questa chiesa nel panorama artistico pesciatino si evidenzia sin dall’aspetto tardo-duecentesco dell’interno, austeramente francescano. L’edificio si erge fuori porta, nella zona un tempo nota come “il prato”, che vanta, come scrive Vitali, molte «testimonianze religiose e spedali medievali». Fra le tante opere che conserva (affreschi, pale, sculture, rilievi sepolcrali dal Medioevo al Settecento), spicca il capolavoro di Bonaventura Berlinghieri, firmato e datato 1235. È la cosiddetta Pala di Pescia, dominata dalla monumentale figura di san Francesco, ancora staticamente ieratica come un’icona bizantina, ma affiancata da sei episodi francescani, che costituiscono la più antica rappresentazione pittorica della vita del santo. Figlio del pittore Berlinghieri di Melanese da Volterra, Bonaventura è il più dotato di una famiglia di artisti attivi soprattutto in Lucchesia. Se purtroppo sono scomparsi gli affreschi decorativi che Bonaventura realizzò nel 1244, con un certo Paolo, per la dimora dell’arcidiacono del duomo di Lucca, agli Uffizi è a lui attribuito un bellissimo dittico (1255 circa). Fra le opere ancora più antiche della chiesa, spicca il frammentario gruppo scultoreo romanico dalla chiesa di San Lorenzo a Cerreto (vicino a Pescia), un leone stiloforo che atterra un peccatore, di chiara ascendenza toscana, sicuramente derivato dai classicheggianti leoni del pulpito del duomo di Pisa, trasmigrati nel duomo di Cagliari, e scolpiti nel marmo da maestro Guglielmo, fra i più eminenti scultori della seconda metà del XII secolo. Sempre restando in epoca medievale, spicca un mirabile trittico tardogotico del pittore di origine pistoiese Nanni di Jacopo, risalente agli inizi del Quattrocento, più volte trafugato e ricostruito anche nelle parte mancanti. Ma le opere sono tante e di varie epoche, e vale la pena una visita, con la guida sottomano. Paolo Vitali Edizioni ETS, Pisa 2023 pp. 64, 42 ill. colore € 13 ARCHITETTURE PER I PRINCIPI DELLA CHIESA COMMITTENZE IN ROMA, 1400-1700 Papi e cardinali – i principi della Chiesa, italiani e non – sono stati per secoli i fautori della «renovatio urbis Romae», il rinnovamento urbanistico e architettonico che a partire dal Rinascimento, e sino all’età moderna, li vide a Roma come i principali committenti di imprese di varia natura. Essi coinvolsero pittori, scultori, architetti, artigiani che venuti da ogni dove si trovarono a lavorare in una città che, pur avendo mantenuto lo status di «caput mundi», era divenuta ormai, nel primo Quattrocento, solo il simbolico ombelico del mondo: una città di rovine, per quanto eccellenti e maestose. Pellegrini e viaggiatori le descrivevano ammirati, e l’immagine concreta di una Roma non più in rovina, anche se sempre in dialogo con l’Antico, muta nel secondo Quattrocento, all’interno della cittadella pontificia, nel Borgo e attorno a Castel Sant’Angelo, estendendosi poi a tutta la città. Nei secoli, grazie anche ai giubilei che fecero arrivare dall’Occidente cristiano milioni di fedeli, prelati e dignitari, un’attività artistica senza precedenti dopo i fasti imperiali perdurò fino alle soglie dell’illuminismo. Nel volume curato da Flavia Cantatore, i contributi di cinque ricercatrici dell’Università La Sapienza di Roma documentano, con fonti inedite e rigorose disamine, alcuni specifici aspetti di committenza, anche di origine francese e spagnola, per acquedotti, monumenti sepolcrali, ville, cappelle, e perfino trattati di architettura. La ricerca, finanziata con i fondi ricevuti dal Dipartimento di storia, disegno e restauro dell’architettura per il tema Architettura per il principe tra l’Italia e l’Europa dal Quattrocento al Settecento, esce nella collana edita da Olschki “Biblioteca dell’Archivum Romanicum” (serie di storia, letteratura, paleografia). Grazie ai saggi qui riuniti Roma viene a confermarsi nel periodo in esame, come spiega la curatrice, «il crocevia di confronto plurale per la composizione internazionale della Curia» e «il teatro di una espressività che, nei diversi tipi architettonici considerati, si identifica con l’élite di corte». Fra le altre cose emerge, nelle diverse opere esaminate, un continuo dialogo con la tradizione classica dell’antica Roma. I committenti delle opere sono l’arciprete Richard Olivier de Longueil, il cardinale valenzano Giacomo Serra, i papi Pio V, Paolo V, Clemente XIV, e il cardinale Camillo Massimo. A cura di Flavia Cantatore, saggi di G. Aureli, F. Bardati, S. Pasquali, F. Tottone, P.C. Verde Leo S. Olschki editore, Firenze 2023 X-228 pp., 93 ill. b.n. € 38 CARL’ANTONIO GRUE 1655-1723 CAPOLAVORI DELLA MAIOLICA BAROCCA CASTELLANA DALLE COLLEZIONI PUBBLICHE ABRUZZESI. Erede di una nota bottega di maiolica nella cittadina di Castelli (Teramo), fra le montagne abruzzesi, Carl’Antonio Grue, figlio d’arte del ceramista Francesco Grue, fu eccellente decoratore e pittore di maiolica, ispirato, fra gli altri, da artisti come Francesco Solimena, Antonio Tempesta, Pietro da Cortona e i Carracci. Si deve a lui l’invenzione dell’«ornato a paese», tipica decorazione su maiolica con temi esclusivamente paesaggistici, come spiega, in uno dei saggi di questo libro, Pierluigi Evangelista, direttore dei Musei civici di Loreto Aprutino (Pescara). Grue è stato celebrato con diverse iniziative alla fine del 2023, nel terzo centenario della scomparsa. Per l’occasione è uscito questo libro-catalogo, curato dal già citato Evangelista e da Maria Cristina Ricciardi, docente all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara. Il libro esordisce con i saggi di studiosi come Caterina Napoleone e Loris Di Giovanni, a indagare vicende biografiche e attività dell’artista, come pure il rapporto con alcuni committenti. Grue, nato a Castelli nel 1655, e dal 1695 titolare della bottega paterna, fu spesso richiesto da illustri collezionisti ben oltre i confini abruzzesi. Alcuni suoi raffinati piattelli in maiolica, per esempio, con storie mitologiche e paesaggi decorano una sala di palazzo Madama a Torino. La seconda parte del volume illustra e documenta una variata serie di splendidi esemplari di maioliche provenienti da diversi musei e collezioni abruzzesi, che vale la pena visitare: il Museo Acerbo delle ceramiche di Loreto Aprutino, al quale Evangelista dedica un saggio; il museo d’arte intitolato allo scultore Costantino Barbella di Chieti, qui indagato da Ricciardi; il Museo capitolare di Atri (Teramo), illustrato dal suo ex direttore, Filippo Lanci, e il Museo delle ceramiche di Castelli, curato dal direttore Roberto Dorigon; infine la Fondazione Museo R. Paparella Treccia e M. Devlet di Pescara, che come racconta Ricciardi è stata istituita nel 1977 per lo studio e la valorizzazione delle ceramiche castellane. Fra queste spiccano pezzi straordinari, decorati con mirabile senso pittorico. I temi sono paesaggi, scene mitologiche e di caccia, composizioni e figure sacre. Anche le forme sono affascinanti: non solo piatti, ma anche mattonelle, chicchere, porta chicchere, zuppiere e grandi vasi da pompa. A cura di Pierluigi Evangelista e Maria Cristina Ricciardi Fondazione Pescaraabruzzo - Gestioni Culturali SRL, Pescara 2023 122 pagine, 72 ill. b.n. e colore € 20