I mongoli e i viaggiatori

Il sorgere dell’immenso impero mongolo riapre le vie dell’Oriente ai commerci e ai viaggiatori. Ora i contatti sono diretti e le conoscenze sull’Estremo Oriente dominato dai mongoli si accrescono. A parte Marco Polo e il suo Milione, i cui effetti grandiosi sulla cultura occidentale sono noti a tutti, partono per il mondo sino-mongolo messi papali e regali (dei re di Francia e d’Inghilterra) come Giovanni da Pian del Carpine (penitenziere del papa Innocenzo IV), Sinibaldo Fieschi (1195-1254), Guglielmo di Rubruk con Bartolomeo di Cremona, il lombardo Azzelino con Guiscardo Cremonese, André de Longjumeau, Odorico da Pordenone, Giovanni da Montecorvino (che sarà dal 1307 arcivescovo di Kanbalik, la Pechino mongola) e poi il Marignolli, tanto per ricordare alcuni dei più importanti. Con loro un’infinità di mercanti e di avventurieri, di cui molti si stabiliranno in maniera definitiva tra i mongoli, commerciando in spezie, in pietre preziose e specialmente in seta. Come effetti figurativi, quello più cospicuo è la costruzione di una chiesa in stile romanico (come struttura), di mattoni cotti alla maniera italiana e delle misure in uso da noi, la cui facciata e le cui pareti esterne erano ricoperte, alla maniera cinese, di mattonelle in ceramica invetriata con ornamenti a rilievo di tipo gotico o goticizzante. La fece costruire il Montecorvino nella sua prima sede vescovile in Mongolia.

Quanto all’altra chiesa fatta costruire dal Montecorvino in Kanbalik, sappiamo che portava dipinte sulla facciata storie dell’Antico e del Nuovo testamento, ma non sappiamo se il pittore fu un cinese convertito o un europeo (un italiano o un francese). Il notevole numero di italiani che vivevano in Mongolia e in Cina e la presenza emblematica di un orafo francese, Guillaume Boucher, alla corte di Kublai (ove era impegnato in opere che non erano solo di oreficeria), rendono plausibili le due possibilità. Va notato però che, se le pitture della chiesa (scomparsa da tempo) furono opera di artisti cinesi, l’arte cristiana cattolica in Cina risalirebbe a quest’epoca. Del resto le lapidi tombali di Caterina Vilioni (o Ilioni) e del fratello, ambedue morti a Yangchow nel 1342, mostrano chiaramente come artigiani cinesi di buon livello fossero in grado non solo di redigere in corretto latino e in bella scrittura onciale le due epigrafi (ovviamente copiando), ma anche di tradurre, con molta elegante chiarezza e in forme sinizzate, la storia di santa Caterina d’Alessandria (il che dimostra anche un particolare livello di cultura nel committente). Le due lapidi in un certo senso sono un punto fermo nell’evolversi dell’arte cristiana cinese che avrà, molto più tardi, anche manifestazioni curiose (per esempio, tripodi in bronzo con lo stemma dei gesuiti).

La presenza mongola nell’arca iranosiriaca suscita nei mongoli stessi l’idea di un’alleanza antimusulmana con le potenze cristiane, ora che essi debbono fronteggiare un nemico durissimo come i mamelucchi d’Egitto (di origine turca). Le loro iniziative in questo senso cominciano con la lettera recapitata a san Luigi re di Francia, in Nicosia, da due mongoli cristiani, il 14 dicembre 1248. La inviava Älgighidäi, uno dei grandi capi militari, che prometteva privilegi e immunità ai cristiani e alle loro chiese. In realtà voleva porre le premesse per un’alleanza. Si noti che nello stesso anno era ritornato Azzelino, che aveva incontrato il potente generale Baiju in Asia centrale e si era scontrato con lui, sfuggendo per poco a una condanna a morte. Aveva però riportato una lettera di Güyuk, il capo supremo dei mongoli e dell’impero, nella quale si chiedeva al papa e ai prìncipi cristiani di fare atto di sottomissione. È chiaro che la visione politica dei mongoli variava molto a seconda della situazione locale. Dura e superba nella capitale, diveniva duttile dove la loro forza militare era adeguatamente contrastata.


Ritratto di Marco Polo, dal frontespizio della prima edizione a stampa del Milione, Norimberga 1477.