DEMONI E PAESAGGI DALL’ORIENTE ALLA TOSCANA nche l’iconografia del diavolo deriva da un prestito estremoorientale. Come rileva Jurgis Baltrušaitis, tra la fine del XIII secolo e la metà del XIV si diffonde quell’uso di rappresentare i demoni con le ali di pipistrello (animale che è simbolo di oscurità e di mescolanza mostruosa fra esseri eterogenei), che ha rilevanti echi letterari (cfr. Dante, Inferno XXXIV, 46 sgg.). L’origine cinese di questa iconografia è più che probabile. In Cina è già presente in epoca Chou (alla metà del I millennio a.C.), ma ha un revival vivacissimo tra l’XI e il XII secolo, epoca nella quale questa iconografia viene largamente usata da molti dei maggiori pittori di ispirazione buddhista e taoista, a cominciare da Li Lungmien. Sempre dalla Cina proviene l’iconografia antropomorfa delle rocce, ripresa dal Mantegna, da Bosch, da Bruegel e da altri. Quanto alla possibilità che il taglio compositivo del Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini sia derivato dalle pitture cinesi a rotolo orizzontale (gli “emakimono”), direi DEMONI E PAESAGGI DALL’ORIENTE ALLA TOSCANA che l’ipotesi non può essere esclusa. È vero che il “taglio”, praticamente unico, può essere stato suggerito dalla situazione ambientale della cosiddetta Sala del mappamondo nella quale si trova. A Francesco del Cossa, Decano dell’Ariete (1467-1471 circa); Ferrara, palazzo Schifanoia. Ma le soluzioni adottate nel Guidoriccio per l’accampamento dell’invisibile esercito senese sono vicinissime a quelle usate dai pittori cinesi per soggetti consimili fino dal X secolo (Paccagnini, per esempio, ricordava quelle di Ch’ao Poch’u nel rotolo conservato a Boston). Se si ricordano l’interesse del Martini per le sete d’Estremo Oriente e il testamento di Marco Polo (che annovera fra i legati «duo tabule pinte a maniera de Cataio»), l’ipotesi di un rapporto fra il Guidoriccio e i rotoli orizzontali cinesi diviene molto meno incerta. Naturalmente non staremo a riprendere qui le ipotesi di Bernard Berenson sugli influssi estremoorientali nell’arte del Sassetta, né quelle di Yukio Yashiro, Soulier e Pouzyna sull’aspetto orientale dell’arte senese (e, per Yashiro, anche dell’arte italiana del Quattrocento). L’impresa, che necessiterebbe di molto spazio, dovrebbe tener conto anche delle ricerche di Hidemichi Tanaka, che durano da anni e che in gran parte sono ancora inedite. Ricorderemo solo, come fatto notissimo, che gli affreschi del Cossa, di Cosmè Tura e di Ercole de’ Roberti nel palazzo di Schifanoia a Ferrara, che rappresentano i dodici mesi, riprendono l’iconografia dei “decani” dal testo dell’astronomo arabo Abuˉ Ma’shar, il quale si rifà a un’opera indiana, il Brhajja¯taka di Varaˉha Mihira (astronomo indiano del VI secolo). Pietro d’Abano tradusse dall’arabo in latino l’opera di Abuˉ Ma’shar ed è così che i “decani” di Varaˉha Mihira hanno trovato splendide illustrazioni a Ferrara otto secoli dopo la redazione dell’opera dell’astronomo indiano. Trattandosi di trentasei figure, è questo un rilevante apporto di cultura indiana pervenuto nella capitale estense proprio in un momento in cui l’astrologia assumeva una posizione centrale all’interno del pensiero neoplatonico. Giotto, San Francesco caccia i demoni da Arezzo (1297-1300 circa), particolare; Assisi, San Francesco, basilica superiore. In questo dettaglio sono evidenti alcuni demoni con ali di pipistrello.