Conclusioni

Vorrei chiudere questa lunga esposizione con un dato poco noto, ma facilmente verificabile.

Lo Jugendstil (ossia la versione tedesca del Liberty) risente lievemente, ma con chiarezza, degli aspetti decorativi rilevabili nelle pitture centrasiatiche portate a Berlino da Von Le Coq e da Grünwedel.

Le bellissime riproduzioni, inserite in gran numero nelle opere gigantesche che riportavano le scoperte dei due grandi archeologi, furono indubbiamente il miglior mezzo di diffusione per una cultura figurativa divenuta di moda negli anni che precedettero la prima guerra mondiale.

Come si vede, il dialogo fra Oriente e Occidente è più fluente in particolari momenti, mentre in altri si affievolisce. Di continuo si adatta alla trama complessa degli avvenimenti politici, che sono quasi sempre prodotti da spinte economiche e mercantilistiche. Una trama che negli ultimi secoli (dalla cavalcata mongola e dalle incursioni di Tamerlano fino alla seconda guerra mondiale) ha visto l’Occidente protagonista. Va notato però che scambi o influssi di qualche consistenza si hanno solo quando esiste un sostegno ideologico (religioso o laico) sufficientemente sentito. È il caso delle “chinoiseries”, che vengono addirittura “forzate” a servizio di un impegno politico inimmaginabile in Cina (quella del tempo, beninteso) e che è soprattutto francese e poi europeo. In senso inverso, il realismo socialista dell’epoca del presidente Mao, appoggiato al marxismo (e Marx era europeo), ha usato espressioni e tecniche figurative di sapore occidentale per rappresentare in maniera efficace situazioni e personaggi, così da esercitare un’ampia azione di propaganda capillare fra le masse popolari cinesi.

Ma in realtà la cultura moderna e contemporanea ha prodotto un’unica integrazione: quella tecnologica. Ed è amaro constatare che questa stessa integrazione ha avuto inizio – lontano – con le armi da fuoco, introdotte e poi fabbricate quasi sempre da europei, finché per vie diverse non è stata acquisita una autonomia produttiva da parte degli asiatici.

Nonostante i mezzi che li avvicinano (riducendo al minimo la durata dei viaggi), i due mondi sono ancora l’uno di fronte all’altro: né ostili, né veramente vicini, ma ancora diversi pur nel disfarsi delle tradizioni e nell’incertezza dei sentimenti che l’uno nutre per l’altro (con tutte le diverse modulazioni varianti da cultura a cultura, in una serie infinita di incroci e di incontri).

Il linguaggio universale dell’arte non ha creato nessun ponte, sicché l’antico schema di Erodoto rimane dolorosamente intatto. E oggi l’Occidente – tutto – non è certo l’Atene di Pericle.


Jean-Auguste- Dominique Ingres, Odalisca con la schiava (1839); Parigi, Louvre.