Grandi mostre. 2
COCTEAU A VENEZIA

LE ACROBAZIE
DI UN POETA RIBELLE

ARTISTA ECLETTICO E IRRIVERENTE VERSO OGNI TIPO DI CONFORMISMO, JEAN COCTEAU HA ESPRESSO LA SUA CREATIVITÀ MEDIANTE DIVERSE DISCIPLINE. E NELLE SUE OPERE, CHE SPESSO GIOCANO COL MITO, SCOVARE IL REALE SIGNIFICATO PUÒ DIVENTARE UN VERO ROMPICAPO.

Sileno Salvagnini

Con l’attuale mostra su Cocteau la Peggy Guggenheim Collection prosegue il cammino iniziato con l’esposizione dedicata a Duchamp (conclusa il 18 marzo scorso), concentrato su quegli artisti che si potrebbero definire “borderline”, che si rivelano cioè non in un modo univoco, con una modalità creativa unica o al massimo due o tre, ma con una varietà di modi espressivi che ha del prodigioso. Bene ha fatto in questo senso il curatore Kenneth E. Silver a terminare il suo bell’intervento nel catalogo del progetto espositivo con queste felici parole del poeta Wystan Hugh Auden: «Di tanto in tanto […] appare un artista – Jean Cocteau è, nel nostro tempo, l’esempio più eclatante – che lavora in varie forme espressive e la cui produzione, in una qualsiasi di esse, è così varia che risulta difficile percepire un’unità di sviluppo».

Chi era Jean Cocteau? Nato a Maisons-Laffitte nella regione dell’Île-de-France nel 1889, è stato una molteplicità di cose diverse: scrittore, poeta, drammaturgo, musicista, regista teatrale, attore, saggista, muralista, disegnatore di gioielli di alta moda. Ma soprattutto uno spirito ribelle, non diverso da quelli che interpretano il suo primo romanzo di successo, Les Enfants terribles (1929), che racconta in anticipo quella che sarà la sua vera indole, essendovi personaggi come Dargelos, un bullo realmente conosciuto da Jean in gioventù e per il quale aveva preso una cotta.

L’anno prima Cocteau aveva pubblicato Le Livre Blanc, dove svelava il suo interesse verso il proprio sesso, senza osare tuttavia scrivere il proprio nome quale autore. Una passione trasgressiva in certo senso favorita dalla proibizione e dall’aperta condanna, nella Parigi del tempo – ma anche, è il caso di dire, nella Londra degli stessi anni: si pensi al caso di Alan Turing – dell’omosessualità. È in questa luce, scrive ancora nel catalogo della mostra veneziana Blake Otting, che Cocteau sviluppa a più riprese opere legate al mito ovidiano di Orfeo. Che nelle Metamorfosi, morta Euridice e recatosi nell’Ade per riaverla, la perde definitivamente volgendosi verso di lei e infrangendo così la promessa fatta ai guardiani dell’oltretomba. In seguito, Orfeo nutrirà amore verso gli adolescenti.


Philippe Halsman, Jean Cocteau, New York 1949.