Il filone artistico giapponese del mondo fluttuante (Ukiyo-e) è senza dubbio il più universalmente noto, esposto e influente. I soggetti di fiori e uccelli e vedute paesaggistiche, beltà femminili e attori di teatro kabuki già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento catturarono l’attenzione del mondo artistico occidentale quando qualche esemplare di stampa policroma esportato in Europa scatenò il fenomeno del giapponismo.
Mentre in Giappone la produzione ukiyo-e era ancora attiva, la fuoriuscita dal paese di xilografie policrome, dipinti, paraventi e oggetti d’arte applicata e alto artigianato dava segno dello sfaldamento del sistema di governo militare dei Tokugawa durato per oltre duecentocinquant’anni, a favore della restaurazione del potere imperiale. Non fu un passaggio pacifico come spesso si è lasciato intendere.
A partire dal 1853, quando iniziarono le prime pressioni esercitate dalla flotta americana affinché il Giappone riaprisse i porti e i commerci con l’estero dopo secoli di forte chiusura – durante i quali solo il porto di Nagasaki rimase attivo attraverso gli scambi mercantili con Olanda e Cina – fino al 1868 quando avvenne la Restaurazione Meiji, furono anni di scontri tra fazioni favorevoli e contrarie al ritorno dell’imperatore al governo, alla demolizione della classe dei samurai, alla politica filoccidentale adottata. Furono anni in cui il Giappone firmò uno dopo l’altro trattati (forse impropriamente definiti) di amicizia e commercio con le più importanti potenze occidentali, permettendo la residenza nelle aree portuali giapponesi agli stranieri, mentre il governo Meiji adottava una politica che mirava a riposizionare il Giappone al fianco dei paesi occidentali attraverso l’acquisizione di saperi nei diversi settori da ciascun paese. In ambito artistico fu chiamata l’Italia a fornire specialisti di scultura, pittura, incisione e architettura. Ed è qui che la mostra di palazzo Braschi incrocia le due storie, quella della bellezza e del fascino delle opere ukiyo-e e quella dei primi collezionisti che le portarono in Italia come parte della loro esperienza di lavoro e di vita in Giappone.