Le donne di Utamaro, la grande versatilità di Hokusai e i paesaggi melanconici di Hiroshige, soprattutto, hanno da sempre affascinato gli estimatori d’arte europei e statunitensi, fin da quando, verso la metà dell’Ottocento, le opere di questi autori cominciarono a essere conosciute oltre i confini del Giappone. Ma nonostante Utamaro, Hokusai e Hiroshige rimangano a tutt’oggi gli artisti giapponesi più noti, essi furono protagonisti di uno solo dei momenti, in verità tra i più fulgidi, nell’intera storia del genere delle “immagini del mondo fluttuante”.
Durante il cosiddetto “periodo Tokugawa” (1603-1867) il termine “ukiyo” – usato originariamente in ambito buddista con connotazioni negative sulla transitorietà della vita – era utilizzato dai giapponesi per mettere in evidenza il carattere effimero dell’esistenza umana e, contemporaneamente, la volontà di immergersi quanto più possibile nel godimento dei piaceri terreni.
L’“Ukiyo-e” (“e” si può tradurre con “immagini”) è quindi l’espressione grafica di questa inedita mentalità, di un nuovo stile di vita. Esso fu un fenomeno che interessò e coinvolse in particolar modo gli abitanti delle più grandi città del Giappone, soprattutto Edo (l’attuale Tokyo), avendo dei riflessi di minore rilievo in altri importanti agglomerati urbani, come la vecchia capitale Kyoto e la città portuale di Osaka.
Sorta all’inizio del Seicento, Edo era a tutti gli effetti una creatura del regime militare (“bakufu”, governo della tenda) degli shogun (“shoˉgun”; signori delle province) Tokugawa, nella quale si concentrarono pressoché tutte le manifestazioni dei grandi cambiamenti sociali e culturali avvenuti tra il XVII e il XIX secolo.