Coraggiosa, brillante, anticonformista, decisa e ribelle. Certo, il suo ruolo fondamentale all’interno del Bloomsbury Group e il suo impatto significativo sulla tradizionale cultura britannica non furono soltanto dovute al suo innegabile talento artistico, ma anche alla sua prepotente determinazione. Difficile da accettare nella società vittoriana fondata sulla rispettabilità e sulle buone maniere, soprattutto se a sfidare le convenzioni era una donna. Eppure lei, Vanessa Bell, non ebbe mai incertezze fin da quando, nel 1904, morti
entrambi i genitori, decise di trasferirsi, con i due fratelli e la sorella, dal borghese centro di Hyde Park Gate al quartiere bohémien di Bloomsbury. È qui, al 46 di Gordon Square, che ogni giovedì neolaureati e intellettuali dell’Università di Cambridge si riunivano con amici e conoscenti per discutere di arte, filosofia e costumi di una nuova morale più moderna e meno intransigente. È qui che si cominciò per la prima volta a fare conoscenza con le esperienze postimpressioniste francesi, fino a quel momento guardate con
diffidenza dalla critica e dal pubblico inglese, come d’altronde tutto ciò che proveniva dai territori dell’immediata Oltremanica. Fu così che Vanessa Bell negli anni precedenti alla prima guerra mondiale cominciò a sperimentare la nuova pittura, riformulando e semplificando il suo linguaggio pittorico fino a diventare leader di una comunità, quella appunto del Bloomsbury Group, che avrebbe avuto collegamenti e influenze anche in campo internazionale.
La Courtauld di Londra dedica una mostra a questa pittrice investigando il suo sviluppo artistico nel contesto della società inglese del tempo che avrebbe voluto le donne soltanto mogli e madri. Cosa significava per una giovane borghese mettersi a capo di
una rivoluzione culturale e perché ci sono volute decadi per uscire dall’ombra dei suoi più conosciuti colleghi uomini? Tutte domande a cui si risponde oggi in Inghilterra riscoprendo sempre di più l’opera di Vanessa Bell e dedicandole spazi espositivi importanti.
Per lungo tempo, invece, l’attenzione sul Bloomsbury Group si era concentrata sulla vita privata molto poco ortodossa, e per quei tempi scandalosa, dei suoi componenti, anziché sui loro meriti artistici. Molti di loro avevano infatti identità sessuali “fluide” mentre le loro relazioni personali, probabilmente per reazione alla severa mentalità vittoriana, erano improntate alla libertà.