Un immaginario visivo lussureggiante caratterizza, ancor più del solito, Il ragazzo e l’airone (2023), l’ultima fatica di Hayao Miyazaki durata sette anni, ora in dvd e su alcune piattaforme di streaming. Contiene come sempre echi della cultura occidentale, un “decor” vittoriano virato in senso surrealista come il corridoio con le porte
verdi numerate (si pensi a Eine kleine Nachtmusik di Dorothea Tanning); l’aldilà è un mix tra l’isola dei morti di Böcklin e Stonehenge, e c’è perfino la scritta dantesca «Fecemi la divina potestate» su una porta misteriosa. Infine, ci sono riferimenti all’Airone e la gru di Yuri
Norstein, maestro riconosciuto di Miyazaki.
Eppure il titolo, originariamente How do you live?, romanzo di Genzaburō Yoshino, fa pensare che ci sia qui più Giappone, e aspetti autobiografici, che Europa (il piccolo Hayao è dovuto fuggire in campagna con la famiglia durante la seconda guerra mondiale e le scene belliche ricordano Una tomba per le lucciole di Isao Takahata). Soprattutto il motivo dell’airone, cui si può solo accennare, rimanda a una plurisecolare tradizione figurativa che dall’Ukiyo-e, anche attraverso la letteratura, i teatri Kabuki e Nō, arriva fino al Novecento (le xilografie di Hashimoto Koei e Ohara Shōson, Yamamura Kōka con la sua ragazza-airone). L’airone, padrone dei tre regni, acqua terra e cielo, rappresenta tradizionalmente un passaggio naturale tra mondo dei vivi e dei morti, e tanto più si presta a ciò un uccello che ha dentro, come qui, un essere umano (l’ibrido umano-animale è presente nella Fanciulla airone, un’antica danza kabuki ancora popolare).
Affini a questa temperie avvengono quattro trasformazioni che un pubblico adulto può cogliere nella seconda parte del film e che corrispondono a diversi livelli: psicologico, ecologico, politico e spirituale. Il salto psicologico è forse il più evidente e avviene nella sequenza con la madre e nell’accettazione della nuova “madre”. Quello ecologico, che ricorda La città incantata, è evidente nella missione di salvare il mondo affidata al ragazzino. Quello spirituale è forse più criptico e risiede proprio nella rinuncia del ragazzo ad assumere l’eredità del prozio facendo invece ritorno al mondo. Infine, a livello politico, c’è una denuncia delle derive autoritarie del nostro presente veicolate nei parrocchetti che inneggiano a un capo con scritte come «Duch», così vicine a “duce” e “Führer” (gli stemmi sulle bandiere somigliano all’aquila del terzo Reich).
Per gli aspetti scritturali e creaturali, Il ragazzo e l’airone sembra – un po’ come Fanny e Alexander per Ingmar Bergman – un’opera-testamento, tale è la complessità e l’innovatività di motivi e piani.