CAMERACONVISTA luca antoccia FUORI CAMPO UN OPERA AL NERO La zona di interesse di Jonathan Glazer (2023) è quasi un film brechtiano, fortemente basato com è su procedimenti di straniamento, spiazzamento e ribaltamento, ripresi dalle avanguardie novecentesche ma ricontestualizzati e ripotenziati. «Come realizzare ancora un film su Auschwitz e la Shoah senza cadere nel già visto, nei cliché? , si è chiesto Glazer (autore di tanti memorabili videoclip musicali, uno su tutti Virtual Insanity per Jamiroquai). Intanto, ispirandosi all omonimo romanzo di Martin Amis ma depurandolo da ogni elemento di finzione. Il film è ambientato nella casa-paradiso del comandante in capo di Auschwitz Rudolph H ss (chiamato qui, a differenza del romanzo di Amis, col suo vero nome), a dieci metri dal lager-inferno senza che mai si veda una sola immagine da dentro . Il lager è sempre, letteralmente, fuoricampo in un duplice senso visivo e sonoro: così come le scene si svolgono interamente fuori dal campo (fuori dalle inquadrature), allo stesso modo, di conseguenza, fuori dal campo sono le grida, le urla di sofferenza delle persone. Il risultato è una particolare esperienza audiovisiva davvero immersiva. A cominciare dallo spiazzante inizio, una lunga sequenza in nero con voci e suoni che compongono una vorticosa, angosciosa polifonia (la sequenza speculare in rosso a circa metà film ne è un corrispettivo). Glazer non ha intenti naturalistici di ricostruzione, la sua è un opera al nero, un operazione alchemica capace di trarre umanità e luce dal buio: le sequenze notturne apparentemente oniriche sono il cuore del film. In esse, una ragazzina sparge delle mele nottetempo in modo che gli internati le trovino il dì seguente quando usciranno per i lavori forzati. Il regista, mentre in Polonia girava il film, ha conosciuto una donna di novant anni che faceva esattamente questo per la resistenza polacca. A rendere particolari queste sequenze notturne c è poi il fatto che la bambina sembra brillare di luce propria come fosse una lampadina (nel paesaggio quasi nero si stagliano, oltre a lei, solo le mele e, sullo sfondo, il fumo di Auschwitz e il vapore dei treni dei deportati). Per scelta etica, la sequenza è girata senza luci come era nella realtà dei campi di concentramento , ma con una termocamera, spesso usata in guerre recenti come in Iraq e in Israele (Gaza), e che reagisce non alla luce ma al calore, restituendone del territorio una fedele mappatura. In questa trasformazione, in fondo alchemica, che muta una tecnologia di morte, nata per individuare i bersagli, in un veicolo di illuminazione e riscatto umano sta anche la bellezza dell operazione di Glazer, giustamente premiata quest anno con l Oscar al miglior film straniero. H Un frame da La zona di interesse (2023), di Jonathan Glazer. 7