XXI SECOLO

TINA BARNEY

DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

LA FAMIGLIA, LE PERSONE A LEI VICINE SONO I SOGGETTI PREVALENTI DELLE IMMAGINI DI TINA BARNEY CHE, CON PRECISIONE PITTORICA E TAGLIO CINEMATOGRAFICO, OFFRE TESTIMONIANZE VISIVE QUASI AUTOBIOGRAFICHE. PER APPROFONDIRE LA POETICA DELLA FOTOGRAFA AMERICANA, IN OCCASIONE DELLA RETROSPETTIVA A LEI DEDICATA AL JEU DE PAUME DI PARIGI, ABBIAMO INTERVISTATO IL CURATORE QUENTIN BAJAC.

Francesca Orsi

Al Jeu de Paume di Parigi, fino al 19 gennaio, la retrospettiva di Tina Barney, a cura di Quentin Bajac, Family Ties.
Barney è una fotografa che con la sua opera ha indagato, liminalmente, il campo scientifico dell’epigenetica, che comprende anche lo studio della trasmissibilità transgenerazionale dei caratteri comportamentali di una stessa famiglia e quindi di un determinato ambiente. Partendo da molto vicino a lei, dalla sua stessa famiglia in Theater of Manners, fino a riproporre lo stesso modello di indagine oltre i suoi confini domestici e americani in The Europeans, l’autrice genera dei ritratti familiari che, con precisione pittorica e taglio cinematografico, delineano i paesaggi psicologici e culturali di una stessa discendenza.
I gesti, le abitudini, le tradizioni, i tic, le posture, che si tramandano nell’appartenere, nel Tempo e nella Storia, allo stesso nucelo familiare.
La sua opera, anche se molti la considerano spesso come un ritratto socio-economico della classe benestante, di cui lei stessa fa parte, non lavora per tipizzazione, ma afferra qualcosa di intangibile e rarefatto, qualcosa di molto personale, il bagaglio interiore di una stessa comunità di appartenenza, la famiglia. Abbiamo intervistato Quentin Bajac.

Tina Barney, prima di iniziare a fotografare, cominciò a collezionare fotografie. Sa chi fossero gli autori che acquistò e se tra di loro ci fosse stato qualcuno che la influenzò particolarmente?
Sì, Tina Barney proviene da una famiglia di collezionisti d’arte e ha iniziato a collezionare fotografie all’inizio degli anni Settanta, prima che lei stessa cominciasse davvero a fotografare. All’epoca c’erano ancora pochi collezionisti che si dedicavano esclusivamente alla fotografia, poiché il mercato del settore era ancora agli albori. Fu attraverso il contatto con John Szarkowski, capo del dipartimento di fotografia del MoMA, che Tina imparò a conoscere la fotografia, essenzialmente quella di matrice americana, in linea con la raccolta del MoMA dell’epoca: Walker Evans, Lee Friedlander, Robert Frank.

Perché fin dall’inizio il suo focus fu diretto alla famiglia?
Come per Imogen Cunningham, era anche una questione di praticità per stare con i suoi figli?
In effetti, per molti anni, il suo primo soggetto sono stati la famiglia e gli amici intimi. Senza dubbio perché, all’inizio, si sentiva un po’ intimidita dall’idea di fotografare estranei, ma anche, cosa più fondamentale, perché era il soggetto che catturò la sua attenzione: trattenere attraverso la fotografia momenti e abitudini del mondo in cui viveva e che, all’epoca, pensava fosse sul punto di scomparire o di cambiare profondamente. La sua era una pratica tesa alla testimonianza, in una dimensione quasi autobiografica. Non erano tanto le classi agiate a interessarla in modo astratto, ma il proprio ambiente e la propria famiglia. Fotografava ogni estate, quando tutte le generazioni della sua famiglia erano riunite sotto lo stesso tetto: voleva cogliere la presenza di generazioni diverse che interagivano, o meno, tra loro.
Negli stessi anni Ottanta, Larry Sultan stava producendo le immagini di Pictures from Home. Come Theater of Manners e Pictures from Home sono connessi? Chi erano i modelli di Tina Barney ai suoi inizi?