Poco noto persino a molti bergamaschi, il ciclo pittorico dei cosiddetti Macabri di Vincenzo Bonomini (Bergamo 1757-1839) si conserva ancora oggi nel medesimo luogo per cui venne creato
più di due secoli fa: la chiesa di Santa Grata inter Vites a Bergamo alta. Il quartiere è Borgo Canale, poco fuori la porta Sant’Alessandro, al tempo popolato da artisti e artigiani e noto per aver dato i natali non solo al nostro (e al padre Paolo Antonio, anch’egli pittore) ma anche all’importante famiglia di organari Bossi, agli scultori e pittori Sanz, al grande musicista Gaetano Donizetti, al violoncellista Alfredo Piatti. Donati dall’artista alla propria parrocchia (di cui fu anche fabbriciere) e attualmente impaginati sui muri dell’abside, i Macabri sono sei grandi dipinti a tempera su tela (223 x 112 cm cadauno) che originariamente ornavano un catafalco funebre per la celebrazione annuale del Triduo dei morti. Ne sono conferma alcune fotografie d’archivio che mostrano i sei teleri racchiusi, come le ante di un paravento, entro un telaio dotato di piedini e con cornici lignee decorate sormontate da una valva di conchiglia, simbolo del viaggio della vita.
Come precisato per primo da Renzo Mangili, da un punto di vista strettamente iconografico la serie non ha nulla a che vedere né con la “danza macabra” (nessun accenno al tradizionale, funereo ballo tra la Morte e alcuni esponenti dei diversi ceti sociali) né con nessun’altra manifestazione del macabro e dell’escatologico, alludendo semmai al comune e amaro destino di ogni uomo per il quale, evidentemente, «la Morte è già dentro la Vita».
Con un’invenzione straordinaria Bonomini raffigura infatti a grandezza più che naturale e con tono quasi “beffardo”, una suite di “morti viventi”, ossia di scheletri “in azione”, abbigliati con costumi del tempo e indicativi di differenti professioni e ceti sociali: alcuni falegnami con gli attrezzi da lavoro, due sposi borghesi in posa, due frati in preghiera, due contadini, un tamburino della Guardia nazionale, un pittore nello studio. L’analisi dei costumi, in particolare quello del tamburino, che indossa l’uniforme della Repubblica cisalpina, suggerisce una datazione del ciclo tra il 1802 e il 1814, che trova conferma nella tradizione orale secondo cui le diverse figure sarebbero ritratti caricaturali di personaggi realmente vissuti in Borgo Canale al tempo dell’artista. In particolare i due contadini che discorrono in un momento di pausa lungo un sentiero di campagna sarebbero tali coniugi Forlini, i due ortolani affittuari del pittore; il tamburino, un giovane che in tempo di pace lavorava come usciere negli uffici governativi; i due monaci in abito bianco, due fratelli della locale famiglia Bossi; il falegname, un artigiano di nome Agostino Carminati, bottaio e membro della fabbriceria di Santa Grata; la coppia di borghesi con ai piedi il cagnolino (l’unico in carne e ossa!), l’impiegato Vacis della Regia delegazione con la sua sposa; il pittore al lavoro, verosimilmente lo stesso Bonomini, affiancato dalla seconda (delle tre che ebbe) giovane moglie e dall’aiutante Caffi.