GRANDI MOSTRE 6

IL RINASCIMENTO A BRESCIA

UN RACCONTO SENTIMENTALE

Le opere del Cinquecento bresciano, in particolare quelle di Moretto, Romanino e Savoldo testimoniano l’identità, il clima di un’epoca dove società, cultura, politica e religione sono strettamente interconnesse. Analizziamo questi aspetti con una curatrice dell’esposizione in corso al Museo di Santa Giulia.

ROBERTA D’ADDA

Dagli scritti giovanili di Roberto Longhi in poi, la scuola bresciana del Rinascimento ha guadagnato un proprio ruolo nella storia della pittura italiana: si è via via chiarito in che termini l’influsso di Tiziano abbia interagito con una vocazione alla realtà che verrebbe da definire innata e si sono via via definite le biografie dei protagonisti di primo piano di questa stagione – Moretto, Romanino e Savoldo – arrivando anche a definire precisi riferimenti culturali e di committenza per singole opere, in particolare per quelle di soggetto religioso.
È giunto quindi il momento di tratteggiare un più ampio contesto di fondo, nel quale la pittura possa essere letta come specchio e sintesi di un complesso sistema di relazioni, idee, figure carismatiche e fatti, dal quale emerga la dimensione “sentimentale” di un’intera epoca.
Nella mostra Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552, a cura di Roberta D’Adda, Filippo Piazza ed Enrico Valseriati, aperta fino al 16 febbraio 2025 a Brescia al Museo di Santa Giulia, si trovano le tracce di una circolarità di pensieri e di temi che si riflette nella musica, nella poesia, nella filosofia e nella religiosità della città, delineando un panorama di inquietudini, passioni e aspirazioni: in una parola, quindi, di sentimenti.
Il racconto ha come punto di approdo l’enigmatico Ritratto di Fortunato Martinengo, dipinto da Moretto intorno al 1540 e giunto nell’Ottocento alla National Gallery di Londra, dove fu da subito apprezzato per la sua straordinaria qualità e per l’originalità della posa malinconica nella quale il gentiluomo bresciano si fece ritrarre. Nell’espressione assorta di Fortunato si condensa idealmente lo spirito di quel tempo, come del resto suggeriscono i suoi scritti, le sue amicizie e la sua stessa biografia.
Il percorso inizia con il traumatico evento del Sacco di Brescia, compiuto dalle truppe di Gaston de Foix nel 1512, che incidentalmente è anche l’anno di nascita di Fortunato. Il tragico episodio, culmine per la città degli anni tortuosi delle Guerre d’Italia, costituisce una cesura anche dal punto di vista culturale. In un momento segnato da drammatiche lacerazioni, anche interne all’aristocrazia e alla cittadinanza, la comunità cercò conforto nei simboli religiosi che potevano assumere una funzione identitaria e unificante, a partire dai patroni e dalle reliquie della tradizione. Tuttavia, anche nella dimensione della spiritualità si generarono non poche inquietudini, stimolate in particolare dalla penetrazione del potente pensiero di Erasmo da Rotterdam. Aristocratici, eruditi, mistiche e prelati fecero proprie le sue riflessioni, in un grande e originale laboratorio intellettuale che si manifestò a vari livelli anche nella produzione pittorica.
In questa ricerca di nuovi equilibri, tra scossoni e assestamenti, le gentildonne e i gentiluomini del primo Cinquecento bresciano individuarono nella pratica e nell’ascolto della musica una dimensione pacificante. Tale passione si rifletteva nella produzione di strumenti, nello studio teorico e nella rappresentazione visiva di concerti, perlopiù legati a una dimensione amicale e spesso ambientati in contesti naturalistici. Il paesaggio – che diventa in questi anni oggetto anche dell’attenzione dei pittori – è esso stesso fonte di ricreazione dell’animo, nel suo duplice valore di manifestazione divina e di luogo del vagheggiamento arcadico.