CATALOGHI E LIBRI

NOVEMBRE 2024

a cura di Gloria Fossi

LA PREFERENZA PER IL PRIMITIVO

EPISODI DELLA STORIA DEL GUSTO E DELL’ARTE OCCIDENTALE

Ernst Gombrich
a cura di Lucio Biasiori
Einaudi, Torino 2023
pp. XX-380, 215 ill. b.n.
€ 35


Come sottolinea Lucio Biasiori nella prefazione, Ernst Gombrich (Vienna 1909 - Londra 2001), fra i più acuti storici dell’arte del Novecento, non ha potuto vedere pubblicato questo suo volume, uscito nel 2002 in lingua inglese (quella originale), e adesso proposto da Einaudi nell’ottima traduzione di Valentina Palombi. Fra gli ultimi scritti che lo studioso vide uscire in italiano spicca invece Dal mio tempo. Città, maestri, incontri, a cura di Richard Woodfield, stampato da Einaudi nel 1999. Si tratta di una serie di lontani, intensi ricordi dei suoi maestri della Scuola di Vienna, come Julius von Schlosser (morto a Vienna nel 1938), lo psicanalista e storico dell’arte Ernst Kris (scomparso a New York nel 1957) e infine il quasi coetaneo Otto Kurz, al pari di Gombrich emigrato a Londra, ma deceduto molto prima, nel 1975: da lui Gombrich ereditò la direzione della fantastica biblioteca londinese del Warburg Institute. Quel libro, oggi fuori catalogo, era costituito da saggi, in inglese e in tedesco, tradotti da Michele Dantini. Proprio quest’ultimo, oggi fra i più acuti studiosi di Gombrich e Aby Warburg in Italia, non a caso ha curato a febbraio scorso una puntuale verifica del libro postumo di Gombrich sul primitivismo, anch’esso costituito da una serie di saggi, come recita il sottotitolo, su «alcuni episodi della storia del gusto e dell’arte occidentale». Alla lunga disamina di Dantini rimando per vastità e complessità di argomentazioni (www.rivistailmulino.it/a/lapreferenza-per-il-primitivo, 14 febbraio 2024). Il fatto che questo libro, apparso nel 2002 in edizione inglese, sia una ricerca tarda, avviata sul finire degli anni Cinquanta ma editata da Gombrich poco prima di morire, ne costituisce in parte i limiti, seppure si tratti di un testo fondamentale per comprendere la genesi del concetto novecentesco di primitivismo, e diviene comprensibile, in quei suoi limiti, solo considerando «l’ultradecennale polemica del suo autore contro gli orientamenti espressionistico-astratti e il ready-made», scaturita nei tempi lontani del rinnovamento postbellico, come spiega Dantini. Arte primitiva in che senso? Si domandava Gombrich: forse perché ingenua? O perché regressiva, in controtendenza rispetto al progresso? E, nel caso, per mancanza di abilità o per motivi di gusto? Le risposte sono molteplici, spesso perfino in contraddizione fra loro. E oggi che la revisione sul concetto di primitivo sta prendendo nuove strade e forme, ciò che, nella vastità di argomentazioni proposte da Gombrich colpisce e interessa ancora, oltre, come si diceva, agli antefatti storico-critici di tali revisioni, è la mirabile estensione degli esempi proposti, che spaziano in ogni genere, tecnica, epoca della storia dell’arte. «In questo libro mi sono occupato di una specifica causa psicologica della preferenza per il primitivo», scrive Gombrich nell’appendice, «che ho esemplificato servendomi di episodi tratti dalla storia dell’evoluzione del gusto e dello stile occidentali». Fra questi, solo per citare alcuni degli esempi illustrati nel libro, non per forza in ordine cronologico, si spazia dalle naturalistiche sculture del Benin alle miniature angloirlandesi dell’Evangelario di Lindisfarne, dai Calvari medievali bretoni ai Cristi crocifissi in chiave autobiografica di Gauguin, dalle sculture trecentesche di Augusta in Germania alle maschere africane yoruba. Ricordo un giorno lontano, nelle sale del Warburg Institute, dove Gombrich, che avevo conosciuto in Italia, mi accolse amabilmente e mi aiutò per la tesi di dottorato di ricerca sulla scultura romanica: camminando fra i vecchi scaffali mi indicò i rilievi buddisti del Gandhāra, nella piana di Peshawar. Mi aspettavo che per capire il nudo medievale mi suggerisse l’arte grecoromana, invece: «Deve guardare queste». Aveva ragione, e non ci avevo pensato.

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