Tipico in questo senso il Giovane uomo al piano, una scena che dovrebbe intonarsi alla leggerezza, alla frivolezza o al piacere dei suoni, delle armonie, solo che il pianoforte ci appare come una macchina perfino paurosa, come un ordigno infernale, o come uno dei meccanismi laboriosi imposti dalla vita moderna e dalla “città che sale”. In definitiva il buon borghese assiso a compiere i suoi esercizi non ci appare molto lontano dai muscolosi operai che qualche tempo prima gli avevano reso confortevole la stanza collocandovi un parquet, anch’esso pronto a emettere lucidi barbagli. Ma in una simile direzione c’è ben di peggio, o di meglio, secondo i parametri che vogliamo adottare. È il Pranzo del 1876, che come la seduta al pianoforte corrisponderebbe a uno dei riti più deliziosi e confortevoli della società borghese. Approfittiamo dell’occasione per dare un’occhiata in direzione di qualche collega e comprimario. Proprio il tema di una tavola coperta di raffinati servizi e posate e di allettanti cibi è stato un cavallo di battaglia del nostro Giuseppe de Nittis, con cui Caillebotte ebbe buoni rapporti. E pure Renoir ne seppe trarre validi episodi. Quando invece lo affronta Gustave, il suo primo atto è di inondare la scena di un nero luttuoso, di un fiume di inchiostro di china, quasi nell’intento di impedirci di ricavare un piacere superficiale da un simile soggetto votato a una certa fatuità. Quel nero corvino si impadronisce pure dei partecipanti alla colazione, facendone quasi delle appendici della mensa luttuosa, come apprestata per un funerale. Ma quello sfondo cupo ha pure uno scopo di grande finezza, serve infatti a far emergere, da quell’invasione di nero di seppia, una fragile famiglia di prezioso vasellame.
DENTRO LE STANZE
SEGRETE
Dopo questa situazione intermedia, tra il dentro e il fuori, è giusto che venga una fase di scelta univoca, che cioè l’inquilino maestoso, statuario, raccolto in sé si dia a pratiche quali si addicono a esercizi compiuti nelle segrete stanze.