Credevamo che il dossier sull’impressionismo francese fosse ormai saldamente stabilito, con la tendenza ad assegnare a Claude Monet un titolo prioritario di eccellenza assoluta. Così almeno ci hanno fatto pensare le numerose mostre recenti, anche nel nostro paese, dedicate soprattutto all’autore delle Ninfee. Ma ora ci accorgiamo che ne restano fuori, o vengono trattati molto ai margini, alcuni protagonisti di massimo rilievo, tra cui soprattutto Gustave Caillebotte, di cui andiamo a occuparci e, a un livello appena un poco inferiore, pure Frédéric Bazille. Senza contare che, a rendere complesso tutto quel capitolo, ci sono pure i grandi casi di Edgar Degas e di Edouard Manet. Come ci si vuole comportare, entrano anch’essi come parti costitutive del capitolo sull’impressionismo, o li vogliamo relegare a una fase anteriore di vigilia e di preparazione? Dalla loro inclusione o meno nel grande fenomeno discendono anche altri problemi. È esistito un impressionismo in altri paesi dell’Occidente, a cominciare proprio dal nostro, con i vari Giovanni Fattori e Silvestro Lega e Vincenzo Cabianca? E che dire dei superbi campioni di un fenomeno parallelo negli Stati Uniti, quali Winslow Homer, Thomas Eakins, Stuart Merrit Chase? La supremazia che si è voluto attribuire a Monet ha implicato alcune conseguenze, che l’impressionismo fosse destinato a non tenere molto in conto la figura umana, soprattutto se impegnata negli umili lavori della prassi quotidiana, e che nutrisse un’avversione per gli ambienti chiusi, anelando il più possibile a portarsi all’aperto, in piena natura, prendendola come soggetto preferenziale dei dipinti. È questa una serie di indicazioni che poco alla volta hanno assunto il peso di canoni dominanti e preclusivi, validi anche per alcuni comprimari molto prossimi al capofila, come per esempio Alfred Sisley, e soprattutto un collega-rivale-antagonista quale Pierre Auguste Renoir, per il quale a dire il vero non vale il canone dell’esclusione della componente umana, non lo si può certo dire per un artista che ha fatto soprattutto del tema femminile il suo cavallo di battaglia, ma gonfiandolo in modo che la pelle delle donne ospitasse tanti riflessi delle luci esterne, come se divenisse una spugna pronta a impadronirsi avidamente di sensazioni, umori, riflessi luminosi, fino quasi a confluire nella natura, così da cancellare la propria origine dai confini ristretti della condizione umana. Si aggiunga a tutto ciò anche una questione di date. Il 1840 della nascita di Monet sembra proprio assumere un valore perfetto, di anno epocale, attorno a cui si schierano i talenti affini di Renoir e di Sisley, mentre Degas e Manet erano nati quasi un decennio prima, a confermare una certa loro situazione di profeti, di annunciatori di una pienezza dei tempi da loro non ancora raggiunta. Ma forse è il caso di precisare il quadro, di limitarsi a parlare, per l’autore delle Ninfee, di una sorta di clima specifico fatto sulla sua misura, di “monettismo”, che sarebbe improprio applicare ad altri casi. Insomma, si pone in primo luogo il compito di allargare temi, tempi, manifestazioni dell’impressionismo, facendolo retrocedere nel tempo e invece dilagare fino a coinvolgere tanti altri aspetti di una cultura tutto sommato così coerente e compatta nei secoli come è stata la nostra dell’intero Occidente.
INTRODUZIONE
Allargate le coordinate dell’impressionismo