«Vedeva l’architettura», ha scritto la figlia Lisa, «e, nell’architettura, la casa, come un luogo di possibile felicità, o di possibile minor infelicità per gli uomini, come ciò che poteva ancora dare libertà, gioco, sorpresa»(11). Attraverso “Domus” egli persegue un’educazione del gusto del lettore, iniziandolo allo spirito del tempo, reso eloquente da una narrazione favolistica delle stupefacenti meraviglie della modernità.
Gio Ponti costruisce la sua prima casa in via Randaccio 9 a Milano (1924-1926). Essa rispecchia, anche esteriormente, il sentimento di libertà festosa che aleggia nella rivista. Con la sua facciata leggermente concava abbraccia il piccolo giardino e culmina, sulla sommità, con quattro obelischi, manifesto in pietra di architettura pura. «Io disegnavo un tempo le mie facciate - era un vizio», scrive, «con l’accento di due pinnacoli […] era come impostazione di un tono, di un ritmo, di una decisione, era come una prova»(12).
Alla casa di via Randaccio fanno seguito, fra il 1931 e il 1936, le “case tipiche”, esempi in stile razionalista di “casa all’italiana”, una casa aperta verso l’esterno per accogliere, armoniosa all’interno per dare ordine alla vita. Si chiamano, significativamente, “Domus”, ognuna con un diverso nome latino: Julia, Carola, Flavia...
Nell’evoluzione artistica di Gio Ponti vi è un’influenza tanto potente quanto breve e fulminea: quella del giornalista e critico d’arte e di architettura Edoardo Persico, al centro della storia culturale italiana dal 1923 al 1935. Nella Conferenza di Torino del 1935 egli fa risalire l’origine del Movimento moderno ai moti rivoluzionnari del 1848, durante i quali l’architetto Charles Duveyrier, che aveva disegnato nella mappa di Parigi l’utopia della città perfetta, celebra il rito di iniziazione della nuova architettura, «le premier anneau de fiançailles de l’homme et du monde» (il primo anello di fidanzamento dell’uomo con il mondo)(13).
Persico conosce Gio Ponti nel 1934, quando, due anni prima della sua misteriosa morte, probabile conseguenza di un pestaggio fascista, pubblica su “Domus” un articolo dirompente: Punto e a capo per l'architettura, in cui afferma che gli architetti razionalisti italiani mancano di visione e di prospettiva, perché non sanno affrontare un progetto a lungo termine riguardo ai grandi problemi sociali. La sua critica è fondata. Già negli anni Venti, infatti, gli architetti tedeschi, primi fra tutti Bruno Taut e Martin Wagner, avevano inventato, nelle migliaia di alloggi delle “siedlungen” (quartieri) berlinesi, le nuove tipologie di casa popolare.