SOSTANZA DI COSESPERATE

Nei tardi anni Trenta, contestualmente con l’affermarsi dell’autarchia, il regime fascista mette in atto delle difese contro le influenze straniere

e, di conseguenza, contro gli architetti razionalisti che fanno riferimento al Movimento moderno. 

Molti restano indifferenti all’avvicendarsi delle varie fasi di un potere politico che, in ogni caso, hanno sempre considerato estraneo agli aspetti funzionali e pratici della loro architettura. Coloro che si oppongono al regime tengono fede ai valori morali e politici del Movimento moderno con una devozione quasi religiosa. La “religione” civile delle grandi utopie sociali è molto simile alla religione che si appella a valori trascendenti. 

Edoardo Persico, romantico capitato in pieno clima positivistico, impaziente di «salire al cielo con una scala a chiocciola»(46) e cattolico sui generis, aveva impresso su quei valori la sua visione utopica e sacrale dell’architettura e l’aveva chiamata «sostanza di cose sperate»(47), riferendosi a Dante (Paradiso, XIV, 64-65: «Fede è sustanza di cose sperate / e argomento delle non parventi») e a san Paolo (Lettera agli ebrei, XI, 1: «Est fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium »: la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono). 

Gio Ponti, romantico con i piedi per terra, e cattolico ugualmente sui generis, cerca al di là dei «tracciati che impediscono di fare appello all’immaginazione» quel «mistero geometrico che è in noi»(48), mistero che adombra la sua religione dell’architettura e anche la sua religione tout court: estremista, anarchica, molto affine al sentimento religioso di uno dei suoi autori più amati, Gilbert Keith Chesterton, che vede in tutti gli uomini altrettanti dei.


Gran Madre di Dio, concattedrale di Taranto (1970), particolare della vela di facciata.