La visione eurocentrica della nostra critica d’arte ha già steso un paragrafo dedicato agli impressionisti del Nord America, ma con la pretesa che per poter essere inclusi in quel movimento essi dovessero lasciare il suolo natio, reputato in quegli anni ancora arretrato, per stabilirsi presso i nostri più confortevoli «vecchi parapetti», per dirla con Rimbaud. Abbiamo infatti i casi pienamente riconosciuti di una pittrice come Mary Cassatt (1844-1926), ma trasferita a Parigi ed entrata nell’orbita di Degas, tanto da dover essere usualmente annessa ai ruoli dell’impressionismo francese, e dunque dotata di un sicuro grado di ufficialità. Molto più intrigante il caso di James McNeill Whistler (1834-1903) che per ragioni biografiche rimbalza da un polo all’altro dell’Occidente. Il padre, assunto come ingegnere ferroviario alla corte dello zar a Pietroburgo, gli consente un soggiorno in Russia, ma con ritorni in madrepatria, quindi soggiorni a Londra, infine un approdo parigino. Tanta varietà di vicende biografiche trova riscontro nella sua attività artistica, che infatti sfugge alle coordinate di un tranquillo impressionismo per offrire piuttosto preziosi spunti innovativi, fino a doverlo porre come precursore di un clima a venire, di stilizzazioni degne della posteriore stagione simbolista e dell’Art Nouveau. Ne viene un profilo d’eccezione che meriterebbe un ritratto su misura. Poi ancora ci sarà un’altra presenza statunitense di grande valore, John Singer Sargent (1856-1925), ma da inserire in un ambito posteriore del movimento che ora ci interessa, in un postimpressionismo capace di raffinate estenuazioni. Invece, a voler insistere sui casi di nordamericani autentici, tali da fronteggiare, non da succubi o da corifei, il grande “ismo” di fine Ottocento, occorre menzionare i profili di Thomas Eakins (1844-1916) e di William Merritt Chase (1849-1916). Sono della stessa famiglia spirituale di Homer in quanto anche per loro non c’è l’abitudine di inserirli nell’ambito dell’impressionismo ufficiale, mentre se ne può sostenere l’appartenenza a esso con buoni titoli di autenticità, proprio nella misura che non sono prodotti derivati ma autoctoni. Eakins, al pari di Homer, ama le scene animate, percorse da impeti energetici, da tensioni attive e dinamiche, con una medesima tendenza quasi a uscire dalla tela e ad accamparsi in una realtà effettiva. Questo lo porta a specializzarsi in temi sportivi, per esempio il canottaggio, in cui ovviamente l’acqua giace tranquilla in bacini immoti, ma viene solcata, rigata, scalfita dall’esile ingombro delle imbarcazioni, appuntite, pronte a scavare delle scie su quella superficie quasi di cristallo, mentre i remi si sventagliano, come impugnati da equilibristi (Campioni di singolo, 1871, New York, Metropolitan Museum of Art). In alternativa, Eakins cerca di fissare i movimenti guizzanti, elettrici dei Giocatori di base-ball (1875, Providence, Rhode Island, Risd Museum - Rhode Island School of Design). I corpi degli esseri umani non assumono, in lui, le stature possenti e incombenti che ritroviamo nei dipinti di Homer, al contrario si fanno piccoli, minuti, proprio per poter essere afferrati “in campo lungo”. Tra l’altro, questi accorgimenti gli permettono di cogliere anche i ring su cui si tengono scontri di boxe, con i duellanti ridotti a dimesse proporzioni, ma col solito proposito di renderli scattanti, protesi nella contesa muscolare, e anche avvolti da tenebre che li fanno emergere con maggiore intensità (Il conteggio, 1898, New Haven, Connecticut, Yale University Art Gallery). Per lui, se si vuole insistere a trovare affinità coi lontani impressionisti di scuola francese, il riferimento più calzante può andare a Caillebotte, si veda per esempio come egli tratti, sempre in piccolo, ma con tanto dinamismo, una veduta di corpi maschili nudi pronti al tuffo in uno specchio d’acqua (La piscina, 1883-1885, Fort Worth, Texas, Amon Carter Museum of American Art). A contrasto con questo sfruttamento di “campi lunghi”, ispirato anche ai primi risultati della fotografia sperimentale intenta a fissare corpi in movimento, alla maniera di Muybridge, Eakins è pure capace di giungere a intensi primi piani, come richiedono i ritratti, di cui ha fornito una folta serie, tra cui, a titolo d’esempio, ci si può riferire a quello dedicato alla moglie (1899, Washington, Smithsonian Institute), investita da un fascio di luce, come allora poteva proprio avvenire in uno studio fotografico, che aderisce ai lineamenti della persona, li scava, li fissa con cruda evidenza.