NOI SIAMO L’OCEANOIL MARE “DENTRO”

Un importante movimento d’intellettuali, scrittori, etnologi nati e vissuti in Oceania tende a ribaltare l’idea tradizionale di una vastissima massa d’acqua

nella quale galleggiano, «come ninfee o coriandoli » (espressioni, queste, comuni agli scrittori europei e statunitensi), minuscole isole considerate troppo povere, troppo isolate, troppo piccole, per sviluppare in epoca postcoloniale una propria autonomia culturale e spirituale nonché politica. 

Eppure già nel XVIII secolo, in piena cultura illuminista, il capitano Cook si era domandato più volte, dopo aver visitato arcipelaghi distanti migliaia di miglia l’uno dall’altro, come si potesse spiegare «l’esistenza di una Nazione così diffusa in questo vasto oceano». La spiegazione più razionale e acuta pare venire da un’autorevole voce contemporanea fra quelle degli studiosi del Pacifico: Epeli Hau‘Ofa (1939- 2009). In uno dei suoi più celebri saggi (Our Sea of Islands, 1993, ristampato più volte in inglese ma mai tradotto in italiano), lo scrittore tongano scriveva: «Davvero i popoli dell’Oceania vivono in minuscoli spazi circoscritti? La risposta è affermativa se si ragiona come certi sociologi. Ma il concetto di piccole dimensioni è relativo e dipende da ciò che s’include e si esclude in qualsiasi misurazione. Se guardiamo ai miti, alle leggende, alle tradizioni orali, alle cosmologie dei popoli dell’Oceania, appare evidente che essi non hanno concepito il loro mondo in proporzioni microscopiche». Per questo, aggiungeva Hau‘Ofa «noi siamo l’Oceano, dal momento che il nostro universo non comprende solo le superfici delle isole che abitiamo bensì abbraccia l’intero, immenso oceano circostante». In questo stesso senso vanno intese le parole della poetessa Teresia Teaiwa, originaria di Kiribati in Melanesia ma nata a Honolulu, scomparsa nel 2017 a quarantotto anni: «Piangiamo e sudiamo acqua salata, così capiamo che l’oceano è davvero nel nostro sangue» («We sweat and cry salt water, so we know that the ocean is really in our blood»). Certo tutti noi piangiamo lacrime salate, ma è difficile ragionare negli stessi termini di chi abita in isole distanti migliaia di miglia dalle coste di un continente, come non accade in alcun’altra parte del mondo. La specificità dell’Oceania è di fatto la mancanza di continuità di terre emerse, la varietà notevolissima di contesti geografici, dalle isole immense agli isolotti disabitati, idealmente unificate, però, da cosmologie e lingue simili fra loro, anche se non identiche, come, fra le miriadi, la leggenda di Fe’e (Octopus motu, l’isolotto del polpo) di fronte alla costa sud di Upolu, che come qui raccontano i pescatori, è legato al mito della più antica divinità delle Samoa, Fe’e, che governa il mondo sottomarino. Ogni mattina i delfini volteggiano attorno all’isolotto dalla forma oblunga come la testa del cefalopode divino.


moderne canoe a bilanciere fra Tahiti e Moorea (isole della Società).


formazioni basaltiche sulla costa sudest aperta all’oceano; Savai’i (Stato indipendente di Samoa).