Quello straordinario paesaggio tedesco, le favolose foreste e le marine sconfinate del Nord, che Friedrich è stato il primo a rappresentare, rifiutandosi di scendere in Italia a contemplare quei paesaggi mediterranei che, tra Sei e Settecento ma anche adesso nell’Ottocento, erano stati e continuavano a essere il soggetto privilegiato dei pittori specializzati in questo genere, naturalmente richiesto dai viaggiatori del Grand Tour.
Con capolavori discussi e oltraggiati dai conservatori, che lo consideravano un pazzo - e lui stesso sembrò alimentare il mito romantico dell’affinità
tra arte e follia - sconvolse le regole di un genere che stava divenendo, insieme al ritratto, quello sicuramente più richiesto dal mercato e dai
collezionisti. Bisogna infatti considerare che alle esposizioni i grandi dipinti storici, anche se rappresentavano le opere più ammirate e discusse,
erano in realtà in netta minoranza, dato che i nuovi ricchi preferivano questi generi più abbordabili e più facili da inserire negli spazi domestici ora
ridimensionati a misura d’uomo.
Una pittura di consumo come il paesaggio corse il rischio di diventare convenzionale artisticamente irrilevante, se non fosse stata salvata da artisti
originali e coraggiosi che, un po’ ovunque, come Friedrich in Germania, Turner e John Constable in Inghilterra, Camille Corot in Francia, Giovanni
Pietro Bagetti, Ippolito Caffi e i protagonisti della cosiddetta Scuola di Posilippo in Italia, Aleksej Gavrilovič Venecianov in Russia, e tanti altri
ancora, diedero nuovi significati alla rappresentazione della natura. Alla verità razionale e alla resa ottica, quasi scientifica, dei vedutisti
settecenteschi subentrò una visione svincolata dalle regole prospettiche tradizionali, fortemente emotiva e personalizzata. Come se la realtà fosse
registrata non più con l’organo della vista, ma come attraverso uno scandaglio interiore, gli occhi dell’anima.