Ma nonostante il successo, per l’artista è difficile vendere perché a Roma c’è pochissimo mercato, a differenza di Milano o Torino. «C’era un’energia enorme, ma senza possibilità di soldi. Per i pittori a Roma esisteva solo una grande solitudine».
Così, quando ritiene che i suoi quadri siano diventati uno stile, smette e cambia completamente registro e linguaggio. Interrompe la collaborazione con La Tartaruga e inizia a lavorare con un’altra galleria, L’Attico, dove nel marzo 1967 presenta Il Giardino-I Giochi, una mostra in due tempi introdotta da Alberto Boatto, dove l’artista riunisce una serie di elementi che costituiranno i fondamenti della sua ricerca successiva, legata al movimento dell’Arte povera, definito criticamente da Germano Celant nello stesso anno. Abbandonata la pittura su tela, la grammatica di Kounellis si impadronisce dello spazio, articolato secondo una sorta di reinterpretazione della natura. Tre grandi tele bianche ospitano rose di stoffa, anch’esse bianche o nere, appuntate con automatici: la più grande, lunga cinque metri, è accompagnata ai lati da ventiquattro gabbiette con canarini vivi. «L’effetto è quello di penetrare in un giardino congelato da un sogno in vena di allegorie, di stilizzazione e di purismo», scrive Boatto.