Ci sono opere che conosciamo benissimo, note non solo agli studiosi e agli specialisti ma anche agli appassionati, ai cultori, ai curiosi e perfino a quella che si usa definire “gente comune”; opere che guardate in un certo modo, però, rivelano aspetti a cui non si era posta adeguata attenzione. A volte, infatti, basta variare di poco il punto di vista per vedersi squadernare davanti agli occhi e alla mente interi universi culturali, altrimenti del tutto insospettabili. È il caso dei meravigliosi capelli di marmo della Dafne di Bernini nel gruppo di Apollo e Dafne (1622- 1625), conservato a Roma nella Galleria Borghese. In genere, infatti, siamo attratti soprattutto dall’abilità dello scultore napoletano, forse coadiuvato da quel Giuliano Finelli, cui la critica più accorta ha voluto attribuire la realizzazione anche delle foglie di alloro, oltre che delle incredibili ciocche - inevitabilmente bionde anche se di candida pietra - dei capelli della ninfa(1). Poco, però, si è riflettuto sulla posizione di questi capelli, che non stanno fermi, ma si spingono in avanti con un movimento che consideriamo del tutto naturale. Invece, non è così ovvio che i capelli di Dafne assumano quella posizione. Perché questo accada, è necessario che lo scultore abbia fatto un ragionamento che non è né scontato né semplice, giacché è figlio di un’inusuale capacità di osservazione, oltre che di una serie di conoscenze che esulano dalla semplice rappresentazione artistica per sconfinare nella scienza sperimentale che proprio in quel tempo si andava affermando(2).
Per rendercene conto, sarà sufficiente confrontare il gruppo scultoreo di Bernini con le opere immediatamente precedenti l’età barocca, ovvero quelle
dei secoli XV e XVI che rappresentano la medesima scena. In tutte, infatti, i capelli non hanno alcuna funzione dinamica, ma scendono lungo le spalle o,
al più, sono spostati all’indietro dal vento della corsa, ma mai si slanciano in avanti in un movimento che pare contrario al verso della direzione
seguita dalla povera Dafne.