Buio totale, ma in alto ecco un arabesco luminoso sovrastato da un soffitto “blu Giotto”. L’effetto è di grande spaesamento. Siamo a Milano nel 1951: i visitatori della IX edizione della Triennale sono immobili col naso in su. Mai vista una cosa simile. Stanno lì, incantati dalla grande opera di oltre cento metri di tubi al neon sopra il monumentale Scalone d’onore. L’invenzione, perfetta nell’allestimento degli architetti Luciano Baldessari e Marcello Grisotti, è di Lucio Fontana (Rosario, Argentina 1899 - Varese 1968), artista italo-argentino che si è fatto un nome negli ambienti dell’astrattismo lombardo.
Noto per le sculture in ceramica realizzate nelle fornaci di Albissola, ma soprattutto per i monocromi - Tagli, Buchi, Oli - lo è un po’ meno per le opere ambientali, realizzate dal 1948-1949 fino alla scomparsa nel 1968, progettate per le esposizioni di gallerie e musei italiani e internazionali. Lavori per loro natura effimeri, legati probabilmente alle sperimentazioni luminose dell’artista argentino Gyula Kosice (1924-2016) frequentato da Fontana negli anni Quaranta e puntualmente smontati e messi al macero dal maestro dello spazialismo alla fine degli eventi espositivi. L’unica eccezione è stata l’opera ambientale presentata alla Galleria del deposito di Genova nel 1967, oggi di proprietà del Musée d’Art Contemporain de Lyon (visibile alla Biennale d’arte contemporanea di Lione fino al 7 gennaio scorso).
La Struttura al neon per la IX Triennale di Milano del 1951 (descritta all’inizio dell’articolo), fedelmente ricostruita lungo le Navate di Pirelli HangarBicocca (Milano), apre la mostra Lucio Fontana. Ambienti/Environments (fino al 25 febbraio), a cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani e Vicente Todolí.

Struttura al neon per la IX Triennale di Milano (1951).