A Reggello, venticinque chilometri da Firenze, c’è un castello autenticamente da favola. Nel senso che sembra di calarsi nelle Mille e una notte: per qualcuno, è il principale edificio in stile orientalista nella penisola. È frutto del rifacimento ottocentesco di un luogo assai antico: lo storico tedesco Robert Davidsohn (1853-1937) spiega che potrebbe esserci passato perfino Carlo Magno, tornando da Roma dopo avere battezzato il figlio. La tenuta appartenne poi a tante importanti famiglie, compresi i banchieri Altoviti - quelli di Bindo, ritratto ancor giovane da Raffaello, poi da Jacopino del Conte e Benvenuto Cellini -; erano avversari dei Medici, che confiscano alla famiglia la proprietà per trasferirla a Giovanni Jacopo de’ Medici. Il quale la vende agli Ximenes d’Aragona, il cui ultimo erede, Ferdinando Panciatichi, muore nel 1897. Con lui il castello di Sammezzano vive la sua (pen)ultima avventura: viene totalmente ricostruito, con enormi spese, in quarantasei anni, dal 1843 al 1889. A Firenze e dintorni, i Panciatichi possedevano parecchi edifici: nel 1840 era la quarta famiglia più ricca in Toscana, dopo i Corsini, i Rinucci e i Torrigiani. Come Salgari aveva narrato Sandokan, Yanez e le tigri di Mompracem senza aver mai visto la Malesia, così Panciatichi crea un angolo di India (e non solo) in cui ogni materiale e ogni idea sono nati però lungo l’Arno.
Per alcuni (ma è falso), le stanze sarebbero trecentosessantacinque: una per ogni giorno dell’anno. Comunque, sono tre piani: centottanta ettari di proprietà con sessantacinque di parco (anche una sequoia gigante, alta quasi cinquantaquattro metri e con una circonferenza di otto e mezzo, tra i centocinquanta alberi di «eccezionale valore ambientale o monumentale» italiani) e ben undici immobili in vari stili; anche uno d’ispirazione cinese.

