Dopo gli studi su Artemisia Gentileschi e il padre Orazio, era la volta di affrontare Agostino Tassi nella triade dei grandi pittori secenteschi, legati dalla famosa vicenda dello stupro. Artemisia, la vittima, il padre, il vendicatore, e Tassi lo stupratore. È davvero così? Che tipo era Tassi? Certamente un eccezionale paesaggista, un consumato scenografo e quadraturista. Lo avevano già messo in luce, bene, gli studi pionieristici di Teresa Pugliatti, poi quelli di Patrizia Cavazzini, culminati nella mostra romana del 2008 al Museo nazionale del Palazzo di Venezia e continuati da altri esperti. Ma incuriosiva il personaggio, sfuggente, indicato dai contemporanei come lo “smargiasso” per la spocchia e sempre descritto come un «un mal huomo, mal cristiano e senza timor di Dio», come aveva dichiarato un collaboratore il 18 novembre 1619.
Un tuffo nelle vicende biografiche e nell’attività del pittore attraverso i documenti, le fonti e il contesto storicoartistico in cui operò, ripercorsi nel mio recente libro su Agostino(*), porta a conclusioni o perlomeno a interpretazioni un po’ diverse.
Certo Agostino non era un santo, ma qualche volta fu lui stesso vittima. Era un uomo dei suoi tempi, come Caravaggio, che frequentava i bassifondi, le prostitute.
