CATALOGHI E LIBRI FEBBRAIO 2018 Tra i tanti eventi dedicati nel 2017 agli infiniti aspetti dell’opera di Picasso, la mostra che avrebbe meritato maggiori commenti, anche oltre i confini francesi, è a mio parere , allestita a Parigi, al Musée du Quai Branly (conclusa lo scorso luglio). A dire il vero oggi, e fino all’8 aprile, la mostra è stata trasferita al Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City (il 7 maggio andrà a Montreal, al Musée des Beaux-Arts, fino al 16 settembre). Tuttavia è probabile, come spesso accade, che non sia identica a quella che abbiamo visto a Parigi, e ha ben fatto Electa a pubblicare, in traduzione fedele, il catalogo dell’evento originario. Un libro più illustrato che scritto, che segue il filo tematico e cronologico della mostra, la quale, come in un crescendo, diventava particolarmente coinvolgente nella parte finale, dove un’infilata strepitosa di sculture primitive sembrava emergere dall’oscurità. Di sala in sala, al Musée du Quai Branly, si ripercorrevano le tappe della fascinazione di Picasso per l’arte etnografica delle cosiddette culture primitive. Fascinazione continua e duratura, che risale almeno al 1907, in sintonia con quella di altri artisti delle avanguardie, e nonostante la celebre negazione di Picasso stesso: «L’arte negra? Non esiste, non so cosa sia». Sculture, dipinti, disegni del più celebre artista del XX secolo, e anche una notevole documentazione di fotografie, cataloghi, cartoline e scritti del primo Novecento, sono in relazione, anche nel libro, con la bellezza primigenia di decine di opere d’arte africana e oceanica, patrimonio del museo parigino. Un valore aggiunto è la documentazione sulle numerose sculture primitive collezionate negli anni da Picasso, oggi al Musée Picasso- Paris. Il curatore Yves Le Fur e gli autori dei saggi Gérard Wajcman e Stéphane Breton sono riusciti nell’impresa di rendere accessibile anche al largo pubblico, in modo divulgativo e spettacolare, come si diceva, quanto non avesse già fatto mirabilmente, ma in modo esclusivamente accademico, il bravissimo William Rubin, nel lontano 1984, al Met di New York, nell’irripetibile mostra sul primitivismo nel XX secolo, il cui catalogo in due volumi è oggi a prezzi d’antiquariato. PICASSO PRIMITIVO Picasso primitivo A cura di Yves Le Fur Mondadori Electa, Milano 2017 344 pp., oltre 400 ill. colore e b.n. € 59 TESSUTO E RICCHEZZA A FIRENZE NEL TRECENTO Firenze era all’avanguardia nel Trecento per la produzione di manufatti di lana e seta, disegnati con gran varietà e invenzione decorativa. Chi voglia saperne di più ha tempo fino al 18 marzo per visitare la mostra su quei preziosi tessuti e il loro riflesso immediato nella pittura fiorentina coeva. Per ospitarla non poteva esserci luogo migliore della Galleria dell’Accademia, ricca di fondi oro che mostrano mirabili stoffe delle quali restano solo rari frammenti. Il libro che accompagna l’evento richiama, fin nella copertina, la raffinatezza dei tessuti serici e soprattutto si pone come monografia aggiornatissima su questi temi, con saggi e schede di medievisti di primo piano come Franco Franceschi o Sergio Tognetti, e storici dell’arte come Maria Ludovica Rosati, Angelo Tartuferi, Roberta Orsi Landini. A cura di Cecilie Hollberg Giunti Editore, Firenze 2017 288 pp., 200 ill. colore € 44 Fino all’11 febbraio è in corso alle Gallerie nazionali di arte antica di Roma, a Palazzo Barberini, la bella mostra su uno dei più “bizzarri” artisti d’epoca manierista, il lombardo Arcimboldo. Il catalogo è curato, come la mostra, da una fra le più attente studiose del pieno Cinquecento, che da anni si occupa, fra gli altri artisti, del pittore passato alla storia per quelle inconfondibili teste composte di frutti, fiori, pesci, libri. Giuseppe Arcimboldo era figlio d’arte. Era nato a Milano nel 1526 e si era formato, giovanetto, presso la bottega del padre Biagio, anch’egli pittore. Nel 1518 Biagio iniziò a lavorare per la veneranda Fabbrica del duomo di Milano, realizzando cartoni e vetrate per diversi decenni. Giuseppe cominciò a lavorare col padre nel 1549, ma poi, nel 1562, già evidentemente famoso e stimato (anche se non è facile ricostruire la sua attività giovanile), si trovò a lavorare per venticinque anni alla corte degli Asburgo. A Vienna ebbe modo di seguire i regni di tre imperatori: Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II. Fu anche insignito di un titolo nobiliare di particolare prestigio, quello di conte palatino. Poi, dal 1587 al 1593, gli ultimi sei anni della sua vita, ormai arcinoto e assai lodato dai contemporanei, tornò nella città natale. Arcimboldo dunque fu pittore singolarissimo. Le sue teste metarmofiche talvolta, se guardate rovesciando il quadro, diventano reversibili. Riassumono cioè l’aspetto di una vera e propria natura morta, composta con quegli stessi elementi che al “rovescio” creano i celebri ritratti. Sulla scia degli studi naturalistici avviati da Leonardo e dai seguaci lombardi, Arcimboldo fu eccezionale osservatore scientifico della natura in ogni sua forma e raffinato poeta e filosofo. Una cultura sofisticata, la sua, in linea con la vita che si svolse nelle corti dell’Europa centrale del Cinquecento maturo. I saggi in catalogo, fra i quali, oltre agli scritti dell’autrice, spiccano quelli di Lucia Tongiorgi Tomasi e Giuseppe Olmi, ricostruiscono con osservazioni pure inedite un mondo focalizzato sulla curiosità, l’ironia e la passione per la scienza. ARCIMBOLDO A cura di Sylvia Ferino-Pagden Skira, Milano-Ginevra 2017 176 pp., 264 ill. colore € 33 DELIRIOUS MUSEUM Le Corbusier pensava che il museo fosse illusorio, incapace di contenere il Tutto. Dopo aver disegnato una pianta a spirale per un palazzo universale della conoscenza, conscio della sua forma troppo finita, era passato alla spirale squadrata: un labirinto su pilotis, un museo utopistico «a crescita illimitata»: , per dirla con Calum Storrie. Il quale, a proposito di spirale, anzi, di spirale in rovina, passa in questo libro, con antitesi e/o nessi pertinenti, alla forma del Guggenheim di Wright a New York, che «si richiude su se stessa come l’Inferno dantesco», e a molte altre spirali, reali o decostruite, come la nuova ala di Sterling per la Tate Britain, o l’oggetto «lussuoso e intoccabile » del Guggenheim di Gehry a Bilbao. Impossibile descrivere con compiutezza la splendida architettura di questo libro sorprendente, il più interessante fra quelli usciti nel 2017 in traduzione italiana. Quella di Storrie, architetto, curatore e designer di stanza a Londra, è un’infinita, geniale serie di riflessioni, rimandi letterari, storici, sociologici sul museo e il suo rapporto imprescindibile con la città. Un libro da leggere più volte, nel quale chi frequenta, anche con occhio critico, i musei e le città del mondo, non potrà non rispecchiarsi, riconoscendosi, di volta in volta, in un “flâneur” rivisto in chiave odierna, non esattamente alla Baudelaire, in un situazionista, o dada, o surrealista, e soprattutto in una fantomatica «Visitatrice » che si addentra nella New York di Warhol e perfino di Hitchcock. È un museo delirante, certo, che ci fa volare dallo “skyline” di Manhattan ai “passages” scomparsi di Parigi; oppure accedere alla Tate Modern dall’ingresso secondario verso il Tamigi, scoprire Palermo di palazzo Abbatellis a Palermo ridisegnato con “piastre” di sottili variazioni di colore da Scarpa, fino a visitare le collezioni catacombali di Soane. Un delirante meraviglioso intreccio dal Louvre a Las Vegas. Alla fine, tornate a pagina 8 e ripercorrete la mappa disegnata da Storrie, che compare anche in copertina. Illuminante per comprendere il mirabile intreccio di relazioni. Delirious Museum Calum Storrie Johann & Levi, Milano 2017 256 pp., 36 ill. b.n. € 25