La stagione simbolista, sullo scorcio dell’ultimo ventennio dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, è stata una stagione straordinaria per la pittura europea: essa vive di un effettivo respiro all’unisono grazie ai confronti fra gli artisti in tempi serrati, dati dal proliferare delle grandi mostre internazionali e dalla diffusione di riviste d’arte dai ricchi apparati illustrativi. Diverse esposizioni se ne sono occupate negli ultimi anni e tutte di sicura presa sul pubblico, dato che l’imperativo di quell’arte era suggestionare e non descrivere, assicurarsi il coinvolgimento empatico dell’osservatore attraverso l’effetto evocativo di linee e colori, di atmosfere indefinite e di temi dettati non più dall’osservazione della natura esteriore ma dal proprio immaginario interiore, nella sua inesauribile varietà di moti e affetti.
È evidente che tale svolta comportava per artisti e critici un’aggiornata informazione su quanto la scienza positivista aveva prodotto, da Darwin in
poi, nell’ambito delle indagini sulla struttura e sul funzionamento della psiche, dagli studi sulla fisiologia sia delle sensazioni che dei fenomeni
onirici o allucinatori fino a quelli sulle psicopatologie, inaugurati dallo psichiatra francese Charcot e che sfoceranno, all’alba del Novecento, nella
psicanalisi freudiana.