Il ritratto di gruppo, nella sua accezione borghese di esibizione di leadership civile e professionale, è un’invenzione olandese. Tra XVI e XVII secolo, nelle province settentrionali dei Paesi Bassi repubblicani, l’eclissi della nobiltà libera i posti più in vista nella scala sociale e li rende disponibili per una nuova classe dirigente. Il genere pittorico del ritratto, soprattutto, ne ricava slancio e prestigio, e una sua particolare formulazione si mostra perfettamente in sintonia con le esigenze e le prospettive del tempo; il ritratto di gruppo, infatti, abbatte i costi per il committente ridistribuendone il peso fra più soggetti, inoltre il ritrovarsi fra sodali, anche visivamente, rafforza lo spirito di appartenenza a un organismo collettivo e rafforza la percezione di essere al servizio della collettività. Categorie professionali come quella dei medici, compagnie di armati a difesa delle città, rettori di enti filantropici sono tra i più entusiasti modelli paganti di pittori ultraspecializzati - come Frans Hals, Ferdinand Bol, Adriaen Backer, Aert Pietersz, Bartholomeus van der Helst, Govert Flinck, Nicolaes Pickenoy, lo stesso Rembrandt -, perlopiù attivi ad Amsterdam e a Haarlem.
A legare fra loro queste compagnie di individui non sono più solo la parentela o la religione o il fatto di suonare insieme per diletto: per la prima
volta, a unire un gruppo sono il lavoro e l’impegno sociale; Alois Riegl, in un suo studio del 1902, lo chiama «ritratto corporativo». Un’esigenza di
promozione di sé in quanto membri attivi nella società che si sviluppa per tutto il XVII e il XVIII secolo e si allarga poi in tutta Europa; fino a
sfociare, con la fotografia, in un fenomeno di comunicazione di massa a livello globale.