Un viso giovane e intatto, incorniciato da una ricca capigliatura castana, domina un paesaggio azzurro che a destra si indora. Il ragazzo non ci guarda, come se inseguisse una fantasticheria personale. Sono soltanto l’aureola sottile e la freccia sorretta con grazia distratta a dirci che non si tratta di un paggio elegantissimo, ma del martire Sebastiano, raffigurato qui in un momento in cui sembra presentire il suo destino.
È uno dei dipinti giovanili meno noti di Raffaello. Perfino la critica più recente è scarna e ripetitiva, malgrado sia una delle gemme indiscusse
dell’Accademia Carrara di Bergamo e un oggetto raffinato. La forma del supporto infatti lascia indovinare che in origine era dipinto anche sul retro,
imponendo a chi volesse comprenderlo una visione a tutto tondo, ora impossibile. Perciò se le mostre devono alimentare il gusto della scoperta che si fa
conoscenza non stupisce che la programmazione varata dalla Carrara nell’estate 2016 ne abbia prevista una che ha nel cuore, letteralmente, il
San Sebastiano (Raffaello e l’eco del mito, fino al 6 maggio). Nelle sale di Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo sono
sette sezioni più una, con il dipinto del San Sebastiano (1502-1503) che compare nella quinta, a ribadirne la centralità rispetto alle piste di
ricerca che da lui partono.
Sette sezioni più una che aggiungono, ciascuna, un tassello alla conoscenza di un artista considerato fondamentale nell’universo delle arti figurative
ancora prima della sua morte (1520).
Sette sezioni che si muovono lungo due direttrici temporali dettate dal dipinto stesso: ante 1504, anno del trasferimento di Raffaello a Firenze e
simbolica conclusione della sua fase formativa; 1819-1866, periodo che va dalla prima notizia sul San Sebastiano al suo arrivo all’Accademia Carrara.
Più una sezione che dal Novecento arriva fino ai giorni nostri, progettata da Giacinto Di Pietrantonio, uno dei curatori della mostra.