Vi sono artisti che hanno il privilegio di stringere il proprio nome a uno specifico vocabolario pittorico: Giorgio Morandi alla “natura morta”, Alexander Calder alle “Hanging Sculptures”, Lucio Fontana ai “concetti spaziali” e poco importa che Morandi abbia prodotto splendidi paesaggi, Calder sculture monumentali e Fontana ceramiche barocche.
Allo stesso modo, il nome di Jenny Saville (presente dal 24 marzo al 16 settembre al National Galleries of Scotland di Edimburgo nella mostra NOW - Jenny Saville, Sara Barker, Christine Borland, Robin Rhode, Markus Schinwald, Catherine Street and others) è connesso alla pittura, anzi a quell’aspetto particolare della pittura che attiene al corpo, alla carne, alle sue modificazioni: invecchiamento, mutilazioni, chirurgia plastica, obesità, gravidanza, violenza. Anche in questo caso, poco importa che Saville abbia utilizzato anche il mezzo fotografico, lei è, e rimane, immersa nella pittura. Non sono molti gli artisti contemporanei che accettano la sfida di un linguaggio “antico”, problematico, ritenuto stanco come la pittura. Molti di loro continuano a ripetere svogliatamente stilemi obsoleti, altri si avventurano in banali e improbabili forzature linguistiche, Jenny Saville è entrata in profondità nel corpo della materia pittorica, si è sporcata con le sue viscere, si è bagnata con i suoi fluidi, ne ha studiato ogni aspetto e ogni possibilità.
Ha riconosciuto e accarezzato la vicinanza di altri pittori come Lucian Freud, anche lui coinvolto nella ricerca ossessiva dei dettagli di un corpo,
parentela che però si dirada sul piano linguistico: denso, materico, grumoso in Freud, liquido, veloce, acido in Saville.