«Quindici anni fa prevedevamo tutto, tranne una cosa: che il mondo sarebbe entrato in una fase di “belle époque”. Adesso ci siamo dentro in pieno. C’è il boom economico, un’aria di cuccagna, ognuno bada ai suoi interessi»(1).
Negli anni del cosiddetto “miracolo economico” italiano, esploso in modo “inaspettato”, come scrive Italo Calvino, all’aprirsi degli anni Sessanta, ma
in realtà maturato già nel decennio precedente, prende forma una nuova idea di arte, che trae dalla politica, dal costume e dai cambiamenti sociali
linfa vitale. Proiettata nella contemporaneità, nella sua straordinaria vitalità di linguaggi, materie e forme, ancora oggi continua a suggerire
narrazioni e letture di un periodo e di un clima culturale. All’arte prima che alla televisione si dava ancora in quel momento il compito di
rappresentare l’italianità. E a farsene carico era l’arte nuova, affermatasi sulle ceneri dei grandi contrasti e drammi della seconda guerra mondiale.
Gli artisti hanno reinventato in quegli anni i concetti di identità, appartenenza e collettività e oggi, attraverso i loro occhi e le loro pratiche, si
può raccontare, per temi e casi esemplari, la “rinascita” del paese, tra le contraddizioni del dopoguerra e la forte cesura segnata dal 1968. Per
contrappunti, ma anche continuità e compresenze, in una sorta di “macchina del tempo” per immagini, la mostra
Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano (Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 luglio) dà voce ai protagonisti dell’avanguardia
artistica italiana di due decenni considerati centrali anche per gli sviluppi a noi più vicini.