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UN FUORICLASSE
DEL MERCATO MONDIALE

di Daniele Liberanome

Morto recentemente, Enrico Castellani, venduto di solito per cifre milionarie, ha avuto una leggera flessione. La sua inattesa scomparsa farà lievitare le sue quotazioni?

Alfiere dell’arte italiana sul mercato mondiale, Enrico Castellani (1930-2017) si scambia per valori milionari, anche se nel 2018 la crescita dei prezzi è parsa meno impetuosa. Strano, si direbbe, perché la morte di un artista importante non di rado coincide con un balzo in avanti delle sue quotazioni; e certamente Castellani ha lasciato un marchio indelebile, trovando un percorso originale fra Fontana, Manzoni, Bonalumi e americani come Donald Judd.

Colpisce la sua ricerca ad andare oltre la tela, oltre l’apparenza, a mettere in evidenza realtà che si muovono lontani dalla luce dei riflettori e che spesso si dimenticano perché la superficie appare tranquilla e rassicurante. Come in Fontana, la maggior parte delle tele sono monocrome, di solito bianche, tanto da essere chiamate appunto Superficie bianca, ma create in materiale estroflesso che assume la forma delle griglie metalliche sistemate dall’artista sul retro. È un percorso originale ed efficace per superare l’antitesi scultura- pittura, per inserire nei quadri la terza dimensione, come si proponevano le avanguardie di inizio Novecento a partire da Picasso. Certo Castellani non esprime la stessa violenza dei tagli di un Fontana, ma un richiamo più ragionato sull’essenza delle cose: le griglie creano di solito forme geometriche ben ordinate e bilanciate, un po’ come le installazioni di Judd, con distanze simili fra i chiodi che le compongono.

Richiamano quindi un mondo da scoprire più organizzato, anche se non nella misura che appare a prima vista, però, perché la tela estroflessa smorza le proporzioni, attenua la rigidità. Fra le numerose e tutte diverse Superfici bianche, una delle più interessanti venne scelta da Gio Ponti come elemento fondamentale di Scarabeo sotto la foglia, casa che l’artista lombardo costruì a Malo vicino a Vicenza riprendendo da un lato i principi della Wiener Werkstätte di inizio secolo per cui l’architetto deve occuparsi perfino delle suppellettili, e dall’altro del movimento Zero di Castellani e di altri, che invitava a ridurre all’essenziale di ogni elemento.