L'oggetto misterioso


PROFILO
PERDUTO

di Gloria Fossi

Espressione seducente, poetica e arcana nella sua vaghezza, nacque nell’Ottocento, ma indica un espediente pittorico già noto a Giotto e poi perfezionato da Masaccio

Siamo nel Museo Masaccio di Cascia: un gioiello nel contado fiorentino (Comune di Reggello). Qui ammiriamo il Trittico di san Giovenale, prima opera nota di Masaccio, datata 23 aprile 1422(1). Due angioletti dalle ali variopinte stanno ai piedi della Vergine col Bambino, indimenticabile nel gesto tenero di succhiarsi due dita della manina grassoccia. I due bambini vestono tuniche rosa come il colore delle guance, hanno riccioli biondi e orecchie che paiono, di scorcio come sono, piccole conchiglie. L’atmosfera raccolta dell’allestimento spinge a fantasticare: cosa vedremmo se i due bambini alati si girassero all’improvviso e ci guardassero? Fantasie, certo, perché poco s’indovina, nel bellissimo dipinto, di quei due volti di tre quarti, salvo forse un accenno di sopracciglio nell’angelo di sinistra (le indagini a raggi infrarossi hanno chiarito che il pittore, allora ventenne, aveva abbozzato un occhio, per poi cambiar idea). Si potrebbe obiettare: gli angioletti appaiono appena un poco girati di lato, e dunque come poteva Masaccio mostrare i dettagli dei volti? Eppure Apelle c’era riuscito, in tempi antichi. Il celebre pittore greco aveva dipinto un Ercole di spalle, in modo tale che la pittura, «cosa difficilissima », mostrasse il volto «in modo più esplicito di quanto promettesse» («faciem eius ostendat verius pictura quam profittat»).

Lo ricorda Plinio nel trentacinquesimo capitolo della Naturalis Historia(2), la più antica storia dell’arte nota, che dopo la traduzione in volgare di Ghiberti e le citazioni di Leon Battista Alberti nel De Pictura, diventò per gli artisti del Quattrocento «una specie di Libro del Genesi»: pagine meravigliose che potevano servire «a rifare l’intero cammino dell’arte»(3). Non è dato sapere se Masaccio conoscesse Plinio. Un espediente tuttavia lo trovò, e ancora ci affascina. È il “profilo perduto”. Beninteso, perduto ma non incerto né imperfetto; è solamente la superficie pittorica a essere consumata, e infatti gli infrarossi confermano una maestria impareggiabile di chi immaginò l’ardito scorcio delle teste degli angioletti, nelle quali s’intravede l’incavo ombreggiato delle orbite(4).