Avvicinarsi al cammino intrapreso da oltre trent’anni da Danilo De Marco (1952) significa percepire quanto la fotografia - affrontata dal reporter e giornalista friulano sulla scia dell’amico fraterno Mario Dondero (1928-2015) - possa aprire una finestra sul mondo, sulle esistenze individuali e collettive. Fotografia come mezzo di comprensione dell’umanità, approccio che De Marco porta avanti fuori da modelli e regole del mercato. Come afferma lui stesso nel catalogo della mostra Defigurazione. I tuoi occhi per vedermi (Pordenone, Galleria Harry Bertoia, fino al 27 maggio, www.mostradanilodemarcopordenone.it), a cura di Arturo Carlo Quintavalle: «Così mi sono trovato a fotografare, sempre come inviato di me stesso, partendo in viaggi solitari e con ristrettissime economie e senza la “tutela” economica di nessuna A testata giornalistica, o l’assistenza interessata di mega agenzie fotografiche ». De Marco sceglie di puntare l’obiettivo su ciò che lo appassiona, lo coinvolge e in ogni luogo (dal Messico alla Colombia, dall’Ecuador alla Turchia, dall’India all’Africa, alla Cina) l’unico suo interesse è quello di scoprire personaggi, creare ritratti. Il suo repertorio però non comprende solo persone appartenenti a culture a noi lontane, in fuga da guerre, violenze, massacri o colti nelle loro attività quotidiane ma anche occidentali, come gli amici italiani e parigini, protagonisti della letteratura, delle arti visive e dell’impegno sociale. Una carrellata di figure attraverso le quali De Marco «vuole trasmettere la memoria scandendo i loro sguardi».
Blow up
DE MARCO,
HORVAT, O’NEILL
di Giovanna Ferri