Dentro l'opera E SPAZI DI CUI RIAPPROPRIARSI ARTE DA ABBANDONARE di Cristina Baldacci Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Franco Mazzucchelli, Abbandono i prega di toccare. L’arte di Franco Mazzucchelli (Milano 1939) potrebbe essere riassunta in questo invito, quasi un imperativo. Così come per gli esponenti del Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco), suoi coetanei, oltre che concittadini - e il loro mentore Bruno Munari -, alla base degli interventi scultorei ambientali e partecipativi di Mazzucchelli c’è il gioco, ovvero l’accento sulla componente tattile della relazione opera-spettatore, che aumenta la percezione visiva. I monumentali e coloratissimi “gonfiabili” in PVC e polietilene che, a partire dal 1964, l’artista colloca abusivamente in strade, piazze e periferie urbane o in contesti naturali, come spiagge e parchi, sono degli intrusi, superflui, a uso dei passanti. Per Mazzucchelli questi giocattoli giganti hanno una funzione rivelatoria, perché mettono lo spettatore «di fronte al fatto compiuto», cioè al puro e semplice gesto artistico. A quello spazio dell’invenzione, sperimentale e ludico, per l’autore, il quale si diverte a impiegare i materiali plastici dell’epoca (allora una novità), così come per lo spettatore, che nell’interazione fisica con l’opera diventa a sua volta attore partecipe. S (*) Abbandono, Lago di Como (1970), scultura gonfiabile, PVC, aria, dimensione variabile. Gli Abbandoni di Mazzucchelli esprimono il desiderio, tipico del periodo tra gli anni Cinquanta e Settanta, di trovare nuovi spazi e possibilità per l’arte. Rispetto a esperienze affini, come quella di Ugo La Pietra, altro agitatore dello spazio pubblico allora attivo a Milano, il suo è un rifiuto ancora più radicale del tradizionale sistema di presentazione, circolazione, ricezione e vendita delle opere; a cui si aggiunge un atteggiamento volutamente dilettantistico che si manifesta nella sintesi estrema dei mezzi e nella ripetitività dei gesti. Dopo essere stati abbandonati dall’autore e consumati dai passanti o dagli agenti atmosferici, di quegli oggetti gonfiabili di vari colori e forme (eliche, spirali, gabbie…) non rimane nulla, se non alcune fotografie fatte dallo stesso Mazzucchelli o dall’amico Enrico Cattaneo, spesso anche piuttosto sbiadite. L’arte ha per Mazzucchelli prima di tutto «un ruolo sociale che non dovrebbe essere mai mercificato». Egli ha estremizzato a tal punto questa regola di stampo concettuale - dove il rifiuto dell’opera come merce va di pari passo con l’enfatizzazione dell’arte come processo e non come oggetto - che per parecchio tempo è stato una sorta di outsider, senza gallerie e (quasi) senza mostre - perlomeno di carattere istituzionale -, mantenendosi grazie all’insegnamento e al lavoro come scenografo (per la Scala di Milano, il Regio di Parma, l’Arena di Verona e altri importanti teatri). Le sue azioni nello spazio pubblico le ha sì documentate con quadri in forma di assemblaggi, che raccolgono ciascuno una foto dell’opera, un suo pezzo tangibile (di plastica) e una scritta con commenti registrati in situ e poi sbobinati, ma senza poi mai mostrare pubblicamente queste composizioni (che sono ora presentate al Museo del Novecento di Milano nella mostra , fino al 10 giugno). Non ti abbandonerò mai Nel 1973, un grande gonfiabile ( ) invade gli ambienti della Triennale di Milano, obbligando i visitatori a fare i conti con questa superficie “sostitutiva” di plastica. La serie degli Abbandoni è seguita da altri “gonfiabili” che Mazzucchelli colloca in spazi ancora più mirati dando al suo lavoro una connotazione più propriamente site-specific. Sostituzione Dal 1970 al 1973 è la volta degli A. TO A. (Art to Abandon), di cui una delle espressioni più felici rimane l’arte abbandonata fuori dalla fabbrica milanese dell’Alfa Romeo (1971): un campo giochi temporaneo pensato per i figli degli operai, diventato inaspettatamente luogo di svago per madri e padri. Due anni dopo, Mazzucchelli concepisce le Riappropriazioni : membrane di polietilene che avvolgono ambienti naturali, architetture e oggetti come una seconda pelle al fine di creare un’inusuale reazione percettiva nello spettatore (si pensi alla recente “riappropriazione” degli spazi della chiesa di San Paolo Converso, a Milano, nella primavera 2017). Similmente agli “impacchettamenti” di Christo, queste azioni mirano a produrre un diverso grado di attenzione e di conoscenza in chi si relaziona con un determinato luogo, monumento, artefatto. E, così come certe azioni delle brasiliane Lygia Clark e Lygia Pape (in particolare, Arquiteturas biológicas, 1969, della prima e Divisor, 1968, della seconda) invitano alla socializzazione e condivisione dello spazio pubblico, seppure con un atteggiamento più ludico e meno sovversivo, ma pur sempre sostanzialmente politico, nel più ampio senso del termine. Nel 1980, Mazzucchelli realizza, infine, veri e propri Interventi ambientali . A questi ultimi fanno da contraltare una serie di opere da parete che l’artista ha iniziato a mostrare soltanto di recente, ma la cui elaborazione risale al 1972. Intitolate, tra disprezzo e autoironia, Bieca decorazione, sono opere fatte per essere vendute, che però manifestano l’attitudine critica di Mazzucchelli verso il valore meramente estetico e commerciale dell’arte. Queste opere si inseriscono tra l’altro in quel filone di ricerca che, a partire dagli anni Cinquanta, ha visto la superficie del quadro bucarsi (Fontana), spiegazzarsi (Manzoni), introflettersi o estroflettersi (Castellani e Bonalumi), muoversi (Colombo), bruciare (Burri). In questo caso, si gonfia come un materassino di plastica dando forma a movimenti concentrici e spiraliformi, oppure a morbide quadrettature. Si pensi soprattutto al Grande oggetto pneumatico, opera-manifesto che nel 1960 inaugura, alla galleria Pater di Milano, Miriorama 1, la prima di una serie di mostre-ambienti del Gruppo T. (*)