Può sembrare un dettaglio di microstoria fiorentina la vicenda che accomuna Domenico di Jacopo di Mattio (o Maffio) da Gambassi (Firenze), più noto come Becuccio Bicchieraio, del quale si hanno notizie documentarie dall’inizio del XVI secolo al 1527, e il pittore Andrea del Sarto (1486-1529), suo «amicissimo», secondo la definizione di Vasari. In realtà, i percorsi lavorativi e umani dei due protagonisti sono profondamente radicati nella vivace comunità artistica fiorentina tra la fine del XV e il primo ventennio del XVI secolo.
Andrea del Sarto realizzò due ritratti di Becuccio, simili nel tratto pittorico misurato e nella capacità comunicativa, ma assai diversi negli intenti.
Il dipinto conservato alle National Galleries of Scotland di Edimburgo raffigura il vetraio in atteggiamento imponente e celebrativo, nell’atto di
mostrare con orgoglio due oggetti realizzati nella sua fornace in vetro trasparente. In primo piano una coppa apoda, con bordo arrotondato e una
costolatura orizzontale ottenuta a mola; in secondo piano una brocca globulare con larga imboccatura e versatoio, munita di ansa costolata e piede ad
anello. L’intento del pittore era quello di celebrare il maestro artefice di oggetti di pregio, realizzati con vetro simile al cristallo, apprezzato per
la trasparenza e per il procedimento tecnico impiegato che imponeva un’accurata selezione delle materie prime. Tali risultati erano possibili solo in
una fornace tecnicamente avanzata, peraltro dotata di una solida condizione finanziaria e di maestranze specializzate. La fabbrica condotta da Becuccio
disponeva di tutto questo ed era in grado di raggiungere i risultati ambiti dal casato mediceo, intenzionato a ridurre, se non proprio ad annullare, il
divario con la superiore qualità del vetro veneziano.