Si può tornare indietro da una gravissima forma di autismo? Può il cinema di animazione essere il “razzo” che riporta indietro da questo lontano pianeta? E di più: possono i personaggi e le storie di Disney costituire l’enciclopedia e il vocabolario di riferimento? Sì, se si prende Life, Animated, la storia vera di Owen Suskind, che a tre anni smette di comunicare, ma non di vedere in continuazione cartoni di Disney, fino a che un giorno, dopo anni, vedendo il fratello maggiore triste per la fine della festa di compleanno, di colpo rivolge ai genitori esterrefatti la frase: «Walt non vuole proprio crescere, sembra Peter Pan». Dunque nessuna compromissione cerebrale o neurologica, pensano i genitori, che iniziano a stimolarlo con l’animazione.
Inizia una vera terapia cui l’animazione offre il sottotesto costante per analisti e familiari. «Lui usava quei film per dare un senso al mondo in cui
viveva», intuisce il padre. E così tutta la famiglia comincia a parlargli attraverso i dialoghi delle pellicole di Disney. Più tardi il padre osserva,
quando Owen deve compiere lo sforzo più grande, rientrare a scuola e integrarsi: «Pinocchio significò capire cosa si prova a essere un bambino vero».
Nessuno aveva mai pensato che autismo e animazione avessero tanto in comune prima di questo piccolo grande film (regia di Roger Ross Williams, 2016:
nomination come documentario agli Oscar 2017 e vincitore al Sundance Festival come miglior documentario). Entrambi funzionano come un pianeta diverso,
con leggi proprie, in cui le nostre - gravità, consistenza, spazio e tempo - non vigono più.