amava attraversare Parigi lentamente e soffermarsi per le strade, nelle piazze aspettando pazientemente l’attimo che avrebbe reso indimenticabile
il fluire quotidiano. Amava lasciarsi sorprendere, osservare e dare spazio alla fantasia. Timido ma curioso, Robert Doisneau (1912- 1994),
esponente di spicco - insieme a Izis, Ronis, Brassaï e Cartier-Bresson - della fotografia umanista, consacrata a livello internazionale con la
mostra al MoMA di New York nel 1951 (Five French Photographs), nutriva una particolare attrazione per le “banlieues”, le periferie. Lui
stesso, tra l’altro, era nato in un sobborgo parigino come l’amico scrittore svizzero Blaise Cendrars (naturalizzato francese) con il quale
pubblicò nel 1949 La banlieue de Paris, opera fondamentale per scoprire gli aspetti più intimi e autentici dell’universo creativo di
Doisneau. Una genuina affinità si sviluppò poi tra il fotografo e Jacques Prévert: un connubio che influenzerà reciprocamente le loro poetiche. A
tal punto da non essere stravagante pensare che il famoso scatto Le Baiser de l’Hôtel de ville, Paris possa aver trovato corrispondenza
nella poesia Les enfants qui s’aiment. L’iconico bacio, accompagnato da quarantanove immagini simbolo della copiosa produzione di Doisneau, come
quelle realizzate nel suo peregrinare notturno tra bar e bistrot con l’amico Robert Giraud, è ora esposto al
Palazzo del Duca di Senigallia fino al 2 settembre (Robert Doisneau: le Temps Retrouvé, www.feelsenigallia.it).
Nelle sue fotografie, caratterizzate da rigore formale ed eleganza compositiva, Venezia occupa un posto di primo piano. Lì Fulvio
Roiter (1926-2016), arrivato giovanissimo dal comune veneto di Meolo (suo luogo di nascita), sperimenta il primo approccio con l’obiettivo. Era il
1949 quando il collega e amico Paolo Monti lo introdusse nel circolo fotografico La Gondola. Da quel momento Roiter non potrà più fare a meno di
un’arte che, come ha affermato in una delle sue ultime interviste, «richiede capacità di prevedere, di vedere meglio e prima degli altri». Saranno
proprio i racconti visivi dedicati alla città lagunare, colta nella sua disarmante bellezza, a imporlo all’attenzione della scena mondiale. Essere
Venezia (1977), libro stampato a colori in quattro lingue con una tiratura di circa un milione di copie, gli ha permesso di vincere il Grand
Prix ai Rencontres de la Photographie di Arles (mentre nel 1956 aveva vinto il premio Nadar). La prima retrospettiva,
Fulvio Roiter. Fotografie 1948-2007, a cura di Denis Curti, a due anni dalla sua morte, con duecento fotografie, è la più esaustiva a lui dedicata
(Venezia, Casa dei Tre Oci, fino al 26 agosto, www.treoci.org).
