Le grandi mutazioni della Storia, sia quella del costume che quelli talvolta più drammatici della politica, sono
solitamente annunciati da eventi artistici, sia letterari che visivi, che ne contengono già i germi ideali. È successo, così, che quattro anni prima
della Rivoluzione francese del 1789 Jacques- Louis David dipingesse il Giuramento degli Orazi che esaltava la virtù politica della “res publica”
romana antica. È successo così che il Nabucco di Giuseppe Verdi, presentato alla Scala di Milano nel marzo del 1842, anticipasse una volontà
d’emancipazione che gli spettatori di quell’augusto teatro stavano covando e che sarebbe esplosa nel marzo di sei anni dopo durante le Cinque
Giornate.
Le arti in quest’ottica si trovano a esprimere sentimenti non ancora del tutto individuati dallo stesso pubblico. L’arte ha una
duplice funzione: è preveggente e può sentirsi anche stimolatrice. Gli spettacoli teatrali provocatori di Marinetti infiammavano gli animi e
generavano risse nei teatri ancor prima della pubblicazione del suo Manifesto a Parigi il 20 febbraio del 1909: a Trieste recitava poesie
provocatorie già nel marzo del 1908 e declamava l’Inno all’automobile esaltando lo scoppiettare dei motori. Con la stessa passione per i
motori, Gabriele D’Annunzio sorvolava la medesima città nell’agosto del 1915, a guerra iniziata, per lanciare manifesti irredentisti.
Il 1968
fu innegabilmente un anno di presa di coscienza in tutta Europa, e di mutazioni della percezione pubblica con conseguenze radicali sui comportamenti
dei singoli. Le cose erano nell’aria da oltre un decennio e venivano agitate nelle menti degli intellettuali quanto nel fare degli artisti.
