Nelle nostre strade ci sono abbondanti tracce d’infrastrutture dimenticate, o mai entrate in funzione, o da tempo superate e obsolete. Sono state costruite e installate; ma poi, sono rimaste lì: quasi che questi luoghi fossero “res nullius”, terra di nessuno. E quindi, di caccia: ognuno può disfarsi liberamente di rifiuti tecnologici abbandonati; magari, i relitti di un passato mai divenuto presente, perché non è neppure esistito. Parafrasando un antico film di Sydney Pollack, premio Oscar nel 1970, invece che i cavalli, “non si uccidono così anche le città?”. Accade dappertutto. Per esempio, a Roma: in un centinaio di metri, si susseguono adel misterioso, e non sono neppure mai entrati in funzione; cassette per smistare la posta a cui nessuno più accede; relitti di cablature iniziate e mai compiute; posti riservati a chi non esiste più da qualche decennio, e così via. A tutto questo, nella capitale vanno poi aggiunte le infinite buche stradali, perfino impossibili da contare; o la spazzatura, assai spesso non raccolta anche per cinque giorni, e che, poiché i contenitori pieni straripano, forma eleganti “collinette”, più o meno piramidali, ai punti di prelievo.
Ma andiamo con ordine, e iniziamo vedendo se, per caso, di Fido mi fido. Non sempre. Attorno al 1995, questo era il nome di un innovativo sistema di Telecom che avrebbe dovuto trasformare i telefoni fissi e senza fili in apparati semimobili e permettere agli utenti di conversare anche stando fuori casa. Perciò, in alcune grandi città furono disseminate apposite antenne. Perfino tre in duecento metri, se una strada era piena di curve. Il 26 ottobre 1996, il “Corriere della Sera” titolava: «Fido estende all’intera area urbana la zona di copertura del cordless». Invece no: anche se l’esperimento aveva totalizzato in venti giorni milletrecento contratti, diffondendosi in ventotto città, dopo poche prove, è abortito: dismesso ufficialmente il 30 giugno 2001. Sembra che fosse poco affidabile addirittura dentro gli edifici; parlare in movimento era abbastanza precario; e, soprattutto, ogni comunicazione, in entrata o in uscita, costava 170 lire in più, mentre si stavano ormai imponendo i cellulari. Non si sa quanto Telecom abbia perduto: c’è chi ha scritto mille miliardi.Ma, ancor peggio, nessuno ha rimosso quei pali e le antenne ormai del tutto inutili. Sono rimasti dove erano, a testimoniare un fallimento industriale, insieme a una grave incuria ambientale. Pare che Telecom non intendesse investire altro per eliminarli. Più o meno nel medesimo tempo, c’è stato un ulteriore tentativo di comunicazione urbana: nel 1995, un’altra società, la Stet, prometteva d’investire in cinque anni 13mila miliardi (sempre di lire), per portare la fibra ottica in dieci milioni d’abitazioni. Strade a lungo sconquassate, per collocare i tubi corrugati in cui fare passare la nuova tecnologia; fino a portarla agli ingressi dei palazzi. Di questo sistema mai nato, sono sopravvissuti però i moncherini azzurri d’uscita. Talora, ormai sepolti (senza lapidi) dal rifacimento dei marciapiedi; talaltra, invece, ancora visibili. Bisogna stare attenti a non inciampare; in compenso, sono un comodo ricettacolo di qualunque sporcizia. Per dirne una, a Trieste, sul marciapiede di via del Lazzaretto Vecchio, in pieno centro, una scatola contiene un’inutile “batteria” di sei terminali che fanno capolino dal terreno, qualcuno con ancora il suo tappo di chiusura, e un altro è loro accanto: ovviamente, non “cablano” nulla: ostacolano chi cammina, intralciano e basta. Spesso, accanto a questi reperti, si vedono anche strane cassette postali, sorrette da un’impalcatura metallica. Sono rosse, e c’è su scritto «Posta»; però, mancano di un elemento fondamentale: la fessura in cui imbucare le missive. Sono «cassette di servizio»: i distributori postali vi stivavano plichi di corrispondenza, che i portalettere poi prelevavano e recapitavano nella zona. Ormai, arrivano assai meno lettere: le hanno sostituite internet e i recapiti autorizzati. Se il postino non ha mai “suonato due volte” (se non nel film originale del 1946 di Tay Garnett e nel “remake” del 1981 di Bob Rafelson), un tempo, passava almeno per le case appunto due volte al giorno; poi, una soltanto; oggi, arriva ogni tre, perfino cinque giorni. E le rosse cassette di distribuzione (o «di servizio») sono abbandonate. Non servono più. Però, restano anch’esse al loro posto, sebbene non abbelliscano certamente l’arredo urbano.


