L'oggetto misterioso
DA UN CAVALLO,
UN CAPOLAVORO
di Gloria Fossi
picasso ha sempre pensato che se si fossero registrate le metamorfosi di un suo dipinto, si sarebbero compresi «i percorsi» compiuti dal suo
cervello «per concretizzare » un determinato progetto (lo chiamava «il suo sogno»). Quelle trasformazioni somigliano a ciò che i francesi chiamano
“carambolage”: termine che allude alle pedine del domino. Toccata la prima, tutte le altre si muovono e cadono “a pioggia”. Nel caso delle sue
opere più importanti, Picasso ha lasciato tracce rilevanti per seguire l’altrimenti indefinibile “carambolage” della sua mente: schizzi, disegni,
dipinti su tela. Esemplare, a questo riguardo, la vigorosa testa di cavallo, in alto nella pagina a fianco, uno dei primi studi documentati della
sua opera più scenografica: Guernica. La testa, quasi umana nell’intensità ritrattistica della smorfia straziante, fu dipinta a olio, a monocromo,
su una tela di 64 x 90,5 cm, ed è datata 2 maggio 1937. A guardarla dal vivo, pare un capolavoro finito, con quell’emergere della testa dal fondo
nero che fa risaltare i più minuti dettagli, ritoccati con sfumature dal bianco al grigio: la lingua appuntita, l’arcata superiore del palato, i
peli radi della barbetta e quelli più fitti attorno alle narici. Gli occhi tondi come bersagli del tiro a segno, fissi. Evidente il richiamo al cavallo di Guernica, riprodotto su tutti i manuali. Come il grande dipinto, anche la tela di più modeste dimensioni fa parte delle collezioni del Reina Sofía di
Madrid, insieme a tutti gli studi preparatori, che lo stesso Picasso aveva chiesto non venissero separati dall’opera definitiva, donata al suo
paese a patto che entrasse in Spagna solo dopo la sconfitta della dittatura.
La vicenda di Guernica è arcinota, e qui sintetizziamo solo gli
elementi essenziali a svelare finalmente l’oggetto misterioso, del quale la testa di cavallo è solo un corollario. Dopo il bombardamento di
Guernica, il 26 aprile 1937, Picasso si era deciso a metter mano in via definitiva al grande telero richiestogli già a gennaio dal governo
repubblicano spagnolo. In piena guerra civile la Spagna ambiva a un’opera di propaganda politica del suo più celebre cittadino. Picasso, a Parigi
da quasi quarant’anni, accettò forse anche perché il dipinto (28 metri quadri di iuta) era destinato a occupare un’intera parete del padiglione
spagnolo all’Expo di Parigi, e avrebbe finanziato la lotta dei repubblicani contro i nazionalisti di Franco. L’inaugurazione era prevista per i
primi di giugno. C’era poco tempo. Picasso era veloce e prolifico, ma non avvezzo a opere su commissione. Qualche mese prima aveva dedicato una
serie di vignette satiriche alle menzogne di Franco, ma si trattava di una personale iniziativa, tenuta per sé. Raro che si facesse deviare
dall’ispirazione congeniale alle ricerche del momento. Vuole il caso che fosse quella l’epoca in cui aveva intensificato gli studi sul tema
dell’atelier, che con infinite variazioni e implicazioni ricorrerà in tutta la sua opera. Così, con l’idea di rappresentare il pittore e la
modella, ai primi di aprile aveva iniziato a Tremblay-sur-Mauldre, vicino a Versailles, dodici schizzi a grafite, numerati, su fogli color carta
da zucchero. Oltre alla modella nuda vi si riconoscono alcuni elementi: un braccio alzato con la falce e il martello stretti nel pugno (unico
riferimento politico). Il più bello, l’ultimo, raffigura in pochi tratti a penna e china una lampadina elettrica appesa al soffitto. È datato
18-19 aprile ed è esposto, insieme a tutti gli altri e alla testa di cavallo sopracitata, alla mostra su Guernica che si tiene in questi
giorni al Musée Picasso di Parigi.