Grandi mostre. 4
František Kupka a Parigi

CIÒ CHE GLI OCCHINON VEDONO

Pioniere dell’astrattismo, con Kandinskij e Mondrian, il pittore ceco Kupka, arrivato a Parigi a fine Ottocento, non si è mai lasciato contaminare dalle avanguardie del tempo.
Indipendente e introverso, ha mantenuto salda la sua intenzione di dare forma ai moti dell’anima attraverso immagini esaltate dal colore, dalla geometria, dal ritmo e dalla fantasia.

Valeria Caldelli

«Com’è bella la libertà! Com’è bella l’indipendenza! ». Kupka (1871-1957), il ribelle, l’artista senza etichette, è passato come una meteora nell’arte della prima metà del secolo scorso: solitario, intransigente, polemico, “puro” fino all’ultimo giorno della sua lunga vita. Non gli impressionisti, “rei” di imitare la natura, non i futuristi con il loro mito della modernità a tutti i costi, e nemmeno Picasso e i cubisti, visti come una banda di imbrattatori materialisti, riuscirono mai a scalfire le certezze del pittore ceco, trasferitosi a Parigi negli anni in cui la città era l’epicentro delle avanguardie che hanno scritto la storia dell’arte del XX secolo. L’idea di František Kupka resterà per sempre quella di dare forma ai moti dell’anima, rendendo visibile ciò che gli occhi non possono vedere. L’artista come un veggente, dunque, concentrato sulle immagini della sua vita interiore. Non è un caso che l’esoterismo e l’occultismo, in voga soprattutto a Praga e a Vienna, città che aveva frequentato fino all’età di venticinque anni e dove era diventato un rinomato medium, siano stati un forte stimolo alle sue ricerche artistiche. Ricerche che lo hanno portato a diventare uno dei pionieri dell’astrattismo, insieme a Kandinskij e a Mondrian, benché i tre artisti si trovassero a chilometri di distanza l’uno dall’altro. Ma l’individualismo di Kupka, la sua autoesclusione dai nuovi linguaggi culturali in voga a Parigi, il suo voler restare straniero e “déraciné”, forse anche l’isolamento a cui lo costringevano colleghi e critici d’arte incapaci di incasellarlo in uno qualsiasi dei movimenti dell’epoca, finirono per allontanarlo dalla scena, relegandolo a quel cenacolo di amici, artisti e studenti cechi, che si riunivano nel giardino della sua casa di Puteaux - villaggio operaio alle propaggini di Parigi - per discutere di filosofia e teosofia.

Una scelta ostinata di indipendenza da tutto e da tutti, un rigore morale quasi puritano, nella sua laicità, che ha pagato a caro prezzo. Oggi al posto di quel giardino e del suo atelier ci sono i grandi palazzi della Défense. Se non fosse stato per la generosità e la lungimiranza della moglie Eugénie che dopo la morte dell’artista ha donato centotrentanove dipinti e disegni al Centre Pompidou, facendone il custode della sua collezione più importante, Kupka sarebbe probabilmente rimasto sconosciuto al grande pubblico. Grazie a questa collezione e alla collaborazione del Musée d’art moderne de la Ville de Paris con la Národní Galerie di Praga e con l’Ateneum Art Museum di Helsinki, il Grand Palais della capitale francese dedica una grande retrospettiva a Kupka fino al 30 luglio.


I tasti del pianoforte (1909), Praga, Národní Galerie.