Estate del 1944. La guerra in Italia è in rapido movimento. Superato l’ostacolo di Montecassino e liberata Roma all’inizio di giugno, l’armata alleata punta verso nord; direzione Firenze e, oltre Firenze, la Val Padana. Il feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo dell’esercito tedesco sul fronte italiano, da quel grande tecnico della guerra che era, capisce che, nella situazione data, l’unica cosa intelligente da fare è approntare una difesa elastica, flessibile, in grado di impegnare il nemico quanto necessario per permettere alla Wehrmacht di ritirarsi in ordine e di attestarsi a nord di Firenze, sul formidabile sistema di fortificazioni appenniniche noto come Linea gotica.
Da giugno ad agosto sono tre mesi di combattimenti a macchia di leopardo, di bombardamenti devastanti da parte dell’aviazione anglo-americana, di sostanziale tenuta dell’esercito germanico, di feroci rappresaglie naziste sulla popolazione civile.
Nel luglio del 1944 i tedeschi stavano smobilitando la linea dell’Arno fra Empoli, San Miniato e Pisa. Negli ultimi scontri a fuoco uno spezzone incendiario americano colpì il tetto del Camposanto monumentale di Pisa. Scoppiò un rogo che fuse il piombo delle coperture, le travi del tetto crollarono e bruciarono per tre giorni e tre notti. Le conseguenze per gli affreschi furono disastrose: “cotti”, decoesi, trasfigurati nei colori come per un’orribile mutazione chimica, rovinati al suolo in più parti.
Così li vide l’11 settembre del 1944 il trentottenne Cesare Brandi, direttore dell’Iscr - Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma, arrivato a Pisa dalla capitale con mezzi di fortuna (l’Aurelia e la ferrovia erano interrotte) portando con sé pacchi di foto in bianco e nero. Era la magnifica campagna fotografica condotta dagli Alinari anni prima e che, da quel momento in poi, è stata lo strumento fondamentale per ogni successiva operazione di recupero degli affreschi.
Dopo Cesare Brandi, nel Camposanto scoperchiato e annerito dall’incendio arrivarono tutti i grandi storici dell’arte e i grandi restauratori: Carlo Ludovico Ragghianti, all’epoca comandante del Cln (Comitato di liberazione nazionale) militare toscano, Mario Salmi, Roberto Longhi, Ugo Procacci accompagnato da Frederick Hartt, tenente dell’esercito americano, uno dei Monuments Men, il corpo speciale istituito nel 1943 da Roosevelt per la difesa del patrimonio artistico europeo minacciato dalla guerra. C’è anche, insieme a Procacci, Umberto Baldini, allora ventiduenne, in divisa di sottotenente del Corpo italiano di liberazione.
